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GRANDEZZA E LIMITI DEL PENSIERO DI FREUD

Intervento alla Tavola Rotonda del Novembre 1986

Vittorio Volterra

Del saggio di Fromm su "Grandezza e limiti del pensiero di Freud", mi è parso particolarmente interessante, per l'attualità, anche se discutibile nell'impostazione, la prima parte concernente i limiti della conoscenza scientifica e la "verità" che con essa si cerca di raggiungere.

È questo un importante problema epistemologico che riguarda non solo tutte le scienze, ma anche la psicoanalisi nella sua evoluzione culturale e nel suo sviluppo secondo correnti di pensiero diverse, spesso tra loro contrastanti, anche quando logicamente supportate da modelli concettuali "coerenti" e ben articolati.

Se intendiamo per scientifico un metodo basato su ragionamenti liberi da pregiudizi, sulla particolareggiata osservazione dei fatti, sulla formulazione di ipotesi e sulla loro continua revisione, in seguito al¬la scoperta di fatti nuovi, è certo che Freud è stato un grande scienziato, avendo lasciato aperta la sua metapsicologia ai progressi della scienza e della cultura. Tuttavia in psicoanalisi i principi del metodo scientifico non sembrano essere applicabili nello stesso modo ai suoi obiettivi fondamentali: verità e cambiamento: "disegnare sui muri oscuri contro cui procediamo a tentoni i luoghi ancora invisibili do¬ve le porte possono aprirsi" (Camus).

Come nell'anamorfosi, dove la figura deformata fino all'irriconoscibilità viene ad avere una ricomposizione ottica dall'immagine di uno specchio cilindrico e l'apparente disordine rivela, attraverso questo artificio tecnico, un ordine nascosto non palese nell'immagine originaria, così nella psicoanalisi si verifica un fenomeno del tutto sovrapponibile.

Grandezza del pensiero di Freud, secondo Fromm, è stata la messa in crisi della razionalità, come strumento assoluto di conoscenza. Si potrebbe dire che Freud ha capovolto l'assunto hegeliano, secondo cui tutto ciò che è reale e razionale e tutto ciò che è irreale e irrazionale, dimostrando invece che tutto ciò che è irrazionale è reale e tutto ciò che è razionale è spesso irreale.

Questa scoperta rivoluzionaria per giungere alla "verità", al di là di ciò che si crede sia la verità, ha ampliato straordinariamente il concetto di verità, per cui risulta oggi da tutti condiviso che non è vero ciò che si crede consciamente lo sia, ma anche ciò che è inconscio, represso o rimosso; non solo ciò che appare, ma anche ciò che è nascosto. Dice Anais Nin, che ha praticato la psicoanalisi per breve tempo con Otto Rank, "L'Io è la caricatura che la gente scambia per il Sé. L'Io è la frode, l'attore, il travestito del Sé. La persona è maschera e la personalità è mascherata".

La consapevolezza di ciò diventa la condizione della liberazione (libertà); la libertà condizione della "verità".

Ma qual'è il tipo di conoscenza della verità sull'uomo a cui possiamo giungere con la psicoanalisi, intesa come scienza e/o come pratica clinica?

L'attuale periodo storico sembra oggi caratterizzarsi per la "crisi della verità". La scienza, per essere tale, deve fornire risultati perfettibili. Essi contengono dunque un errore passibile di essere evidenziato e successivamente corretto con un nuovo dato, il quale tuttavia, a sua volta, contiene una parte di errore, che dovrà essere ulteriormente corretto. La scienza, insomma, si fonda su una metodologia che si avvicina alla "figura veritatis" senza però mai raggiungerla. È fatta, dunque, di una sequenza di verità storiche, che il tempo pone in successione, trasformandole retrospettivamente in errori. La relatività della conoscenza, che avvolge nell'indeterminatezza i confini del vero e del falso, sancisce la legittimità del dubbio e della mutevolezza, come caratteristiche della condizione umana per eccellenza.

Tali considerazioni appaiono valide anche per la psicoanalisi, sia come scienza, sia come pratica clinica.

La verità che ci può fornire è infatti sempre una "fiction" ed è limitata da vari ostacoli, e cioè:

  1. dal livello di conoscenza. Maggiore è la cultura, più ridotto è il margine d'errore; tuttavia, l'espansione della conoscenza può anche comportare limiti alla verità sull'uomo nel momento che si trasforma in una gabbia d'incasellamento, anziché essere uno schema aperto di "work in progress" (Kuhn);
  2. dal non risolto e dal non noto. In psicoanalisi la conoscenza è dubbio e il dubbio è conoscenza;
  3. dalle dinamiche del rapporto interpersonale, dato che ognuno pensa che l'altro non gli riferisca la verità completa. Perciò ogni enunciato viene considerato contemporaneamente verità e non-verità, poiché verità è anche il non detto, il pensato, il temuto, il desiderato. Ne deriva che l'immaginario viene a togliere al reale la specificazione assoluta del vero;
  4. dal continuo mutamento dell'uomo nella costante interazione con il suo ecosistema;
  5. dall'impossibilità di conoscere un aspetto isolato di una persona, senza distruggerne l'integrità, oppure la sua totalità, senza distorcerne le parti;
  6. dalla soggettività delle espressioni umane, per cui il significato letterale di parole è da considerare mera astrazione, se non riferito alla singola persona in un dato momento e contesto.

L'uomo, d'altra parte, può conoscere solo gli errori e non la verità. Può dimostrare l'errore ma non la verità e deve prendere consapevolezza che la verità è un limite cui tende, ma che non può mai raggiungere. Bion ricorda nella sua teoria del pensiero che esistono solo l'amore per la verità, o la non-verità, ma non la verità.

Ora, mentre la psicoanalisi pone una sfida alla concezione logica della verità, la ricerca e la scoperta in psicoanalisi, come in ogni scienza, viene ad essere svolta secondo una logica che non è tanto legge che regola l'universo, quanto ragione per conoscerlo e discorso per esprimerlo.

Questo approccio logico scarta comunque l'impostazione naturalistica che pretende di giungere alla descrizione dell'uomo con un'osservazione al di fuori dello stesso, a favore di quella fenomenica, che si realizza all'interno del rapporto così come percepito, sperimentato, vissuto, organizzato e istituito dai partecipanti (Turillazzi Manfredi).

Ma può la psicoanalisi, nel momento in cui si fonda come scienza della conoscenza dell'uomo e dei suoi stessi processi del conoscere, realizzarsi anche come prassi trasformativa e mirare alla verità, attraverso l'esperienza psicoterapica? Non possiamo eludere questa domanda, tanto più che gli psicoanalisti sembrano tollerare meglio l'idea di non appartenere alla scienza che quella di non appartenere alla prassi psicoterapica, quasi che la rinuncia all'epistemologia sia molto meno dolorosa che la rinuncia alla cura. Ciò forse perché una delle caratteristiche della psicoanalisi come scienza è quella di tendere ad una conoscenza libera da incasellamenti, rigidi sistemi o schematismi, così come, d'altra parte, in ogni concezione teorica, è importante che esistano uno spazio libero e una serie di smagliature che permettano al nuovo, all'incompreso e al non previsto di emergere, sempre che questo pertugio non diventi un abisso (Turillazzi Manfredi). La psicoanalisi da sempre si fonda infatti su una logica più aperta, rispetto a quella che pretende di validare il fondamento scientifico. Tuttavia non può e non deve rinunciare all'approccio logico anche se Abadi segnala due rischi. Il primo è quello di attribuire all'oggetto di studio caratteristiche metodologiche proprie del pensiero logico fino a squalificare il mondo dei fantasmi inconsci come scandalosamente incredibili e alogici. L'altro è quello di lasciarsi contagiare dalle caratteristiche dell'oggetto di studio e di usare metodi di ricerca contaminati dalle unità alogiche del pensiero primario. Qui l'intuizione, come dice Prodo, anche quando si chiama controtransfert, deve riscuotere e promuovere solo ciò che conosce, con la condizione di sottomettersi di nuovo e continuamente alle leggi della coerenza logica.

Come osserva la Turillazzi Manfredi, il rischio è che col passare del tempo le teorie analitiche non si evolvano e non si rinnovino, ma si frantumino, stabilendo vieppiù una distanza tale dal modello teorico di base da arrivare al caotico dell'irrazionale, dell'inesprimibile o dell'esprimibile solo attraverso metafore, la cui apologia è rituale non meno che la loro critica.

Se anche il lavoro degli analisti tende verso l'irrazionale, non è ammissibile però la mancanza di schemi di riferimento che, prima che scientifici, devono essere logici. Altrimenti, in ogni ricerca, tutto può significare tutto e il contrario di tutto oppure, al contrario, se lo schema esiste, ma è alogico per la sua eccessiva rigidità, tutto viene a significare sempre la stessa cosa. Basti pensare all'uso che si fa a volte di alcuni concetti "acchiappatutto", come "seni buoni e cattivi" o "identificazione proiettiva" , concetti divenuti così estensivi, abusati ed usurati da diventare alla fine talora incomprensibili e di significato del tutto scaduto (Turillazzi Manfredi). La psicoanalisi deve quindi prevedere comunque una correlazione metodologicamente valida con le ipotesi assunte nel suo ambito specifico, ma deve anche lasciare spazio ad ipotesi in altri campi conoscitivi, nella cui molteplicità l'unità dell'uomo è spesso smembrata artificiosamente.

Essa deve perciò essere consapevole e rispettosa dell'unitaria globalità dell'essere umano, per giungere a consapevolezza, libertà e verità. Anche perché ogni teoria sull'uomo e la psicoanalisi non fa eccezione non può fare a meno di prevedere che, nell'ambito applicativo, i suoi risultati dipendono anche da aspetti poco conosciuti e poco conoscibili. Perciò deve contenere anche ipotesi riguardo l'influenza di parti non prese in esame, perché da ciò dipende, a volte, in larga misura, il processo conoscitivo e/o trasformativo.

Può darsi e qui si riprende ancora un enunciato della Turillazzi Manfredi che in queste parole traspaia un programma di libertà della psicoanalisi, per la psicoanalisi e nella psicoanalisi, che si configura come un'utopia. Ma l'utopia, categoria fondamentale del pensiero non passibile di una riduzione positivistica, non potrebbe essere espressione di quell'immaginario che muove ogni rinnovamento, ogni critica e ogni dissenso e quindi di un'evoluzione scientificamente corretta della verità nella piscoanalisi?

BIBLIOGRAFIA

ABADI M., Donde era el desco... (El goce de la resistencìa), "Revista de Psicoanalisis", 5, 769, 1979.

BION W.R., Attenzione e interpretazione, Armando, Roma, 1973.

BION W.R., Apprendere dall'esperienza, Armando, Roma, 1972.

FROMM E., Grandezza e limiti del pensiero di Freud, Mondadori, Milano, 1979. KUHN T .S., The structure oJ scìentific revolutions, University Press, Chicago, 1962. NIN A., Diario 19341939, voi. II, Bompiani, Milano, 1978.

PROCLO, Commento al I libro degli "Elementi" di Euclide, Giardini, Pisa, 1978.

TURILLAZZI MANFREDI S., Due scopi per la psicoanalisi: verità e cambiamento, in "Itinerari della psicoanalisi", p. 250, Loescher, Torino, 1982.

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