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Arte fra Politica e Stregoneria: Lo strano caso della (inconsueta) Fonte dell'Abbondanza in quel di Massa Marittima

Vinicio Serino

Una eccezionale scoperta

Qualche anno fa, per la precisione nell'anno del Signore 2000, nel corso di lavori di restauro disposti dalla Amministrazione Comunale di Massa Marittima sulle c.d. Fonti dell'Abbondanza, collocate proprio all'interno della cinta muraria, fu fatta una eccezionale scoperta, iconografica e non solo ... Su una delle pareti di fondo venne infatti alla luce un singolare affresco, che una epigrafe posta sulla facciata fa risalire all'anno del Signore 1265, essendo podestà Ildebrandino Mancondine, coperto da strati di scialbature, oltre che da concrezioni calcaree. Si trattava di una vasta raffigurazione di carattere dichiaratamente profano recante, al centro, un grande e fronzuto albero dai cui rami pendono numerosi – e vistosi – falli. Ai piedi della pianta un gruppo di dame effigiate in pose molto diverse. Alcune, sulla destra per chi guarda la scena, sembrano in quieto ed ameno conversare. Sulla parte opposta,invece, due signore si accapigliano vistosamente, mentre un'altra scaccia con un bastone dei corvi che sembrerebbero volare in direzione degli inconsueti "frutti". Infine un'ultima dama, quella posta sulla estrema sinistra di chi osserva, è ritratta sempre in piedi con un vistosissimo pene collocato più o meno all'altezza del proprio lato b.

Un'altra particolarità è riprodotta, e proprio esattamente al di sopra di quest'ultima dama. Una grande aquila dalle ali spiegate che, con la testa rivolta verso sinistra, evoca lo stemma dell'Impero, ovvero della vicina Pisa – città ghibellina – alla quale apparteneva il podestà dell'epoca. Come Pisa anche Massa Marittima faceva parte, a quel tempo, del campo Ghibellino che poi avrebbe abbandonato, unitamente alla propria indipendenza cadendo progressivamente prima sotto l'influenza e poi, a partire dal 1335, sotto il controllo diretto di Siena, a sua volta passata al campo Guelfo dopo la sconfitta subita, nel 1269, a Colle di val d'Elsa.

Ovviamente è molto difficile intendere il significato autentico dell'affresco in questione. Alessandro Bagnoli, che è un profondo intenditore dell'arte senese, colloca la Fonte al 1265 – appunto in coerenza con la data riportata dall'iscrizione posta sulla facciata della Fonte stessa - e la riferisce all'ultimissimo periodo della influenza Ghibellina su Massa, influenza che arriverà non oltre il 1267, un anno dopo la morte di re Manfredi. La presenza dell'Aquila Imperiale, nella sua forma araldica, dice appunto Bagnoli," si dovrà interpretare come un'esplicita allusione all'emblema dell'impero, dal quale non poteva prescindere il comune di Massa Marittima ..."

Culti pagani della fertilità, forse

Sul piano più propriamente interpretativo, lo stesso Bagnoli, proprio a ragione della singolare tipologia dei frutti ivi rappresentati, sottolinea la contesa delle due donne che "si accapigliano furiosamente per contendersi un fallo ... caduto dall'albero". Come pure rileva la presenza di corvi che una delle due dame poste a sinistra dell'affresco, sembra voglia distogliere dal proposito di afferrare quei frutti, "volgendo verso l'alto un'asta alla sommità della quale sono legati degli uccellini costretti ... a far da richiamo ai voraci corvi."

Davanti all'albero, poi, continua ancora Bagnoli, sembra collocato un ripiano con un orcio destinato a raccogliere ciò che pende dalla pianta. La sua ipotesi è che quegli inconsueti frutti siano, in realtà, pani o dolci che, molto spesso, nella tradizione popolare, venivano effigiati con fattezze falliche come allusione propiziatoria di vitalità. Una allusione ad "una precisa festa ... che sembra affondare le proprie origini nel mondo antico, nei culti della fertilità, nei riti greco-romani dedicati a Dioniso e a Priapo."(A. Bagnoli, L'albero della fecondità").

Il riferimento a Dioniso, il dio "delle genti preelleniche" che "ritorna nell'Ellade intriso di nuovi elementi traco-frigi" (G. Semerano, Le origini della cultura europea. Tomo I°), è particolarmente significativo, anzitutto sul piano mitico e simbolico. Al riguardo è utile ricostruire gli aspetti più rilevanti relativi al mito di Dioniso. Secondo una delle più consolidate tradizioni Dioniso era figlio di Semele, a sua volta figlia di Cadmo, re di Tebe e di Zeus: il padre degli dei, che già da sei mesi aveva fecondato la giovane, non si era ancora manifestato alla bella amante che, pertanto, in ciò spinta anche dalla gelosa Era, aveva chiesto al suo sconosciuto amante di appalesarsi. Zeus aveva accondisceso, ma le sue terribili folgori avevano incenerito la povera Semele. Il dio aveva raccolto allora il corpicino frutto di quella storia amorosa che si cucì in una coscia per gli altri tre mesi necessari a completare il tempo della nascita. Così venne al mondo Dioniso, colui che aveva saputo eludere la morte. Ermes allora lo portò sul monte Nisa, dove venne allevato dalle donne del luogo e dal satiro Sileno. Il che ne spiegherebbe la natura ermafrodita, il suo essere maschio e femmina, come pure la confraternita di donne – le Menadi – che seguono il suo corteo, alla cui testa è lui, con l'amata Arianna, la figlia di Minosse ripudiata da Teseo (F. Jesi, Voce Dioniso, Encicl. UTET). E' lui, l'ermafrodita che ha sconfitto la morte, colui che ha fatto dono alla umanità della gioia del vino, il signore della fertilità e dell'abbondanza. E' lui che reca nel proprio nome l'essenza della sua natura se è vero, secondo quanto sostiene il linguista Giovanni Semerano, che la parola Dioniso – come già detto intriso di elementi culturali asiatici – sembra avere una base dis-ù, ossia primavera nella remota lingua accadica, e nuhsa, ossia, sempre in accadico, fertilità, abbondanza (G. Semerano, Le origini della cultura europea. Tomo I°)

A sua volta Priapo, figlio di Dioniso e di Afrodite, è uno dei compagni del corteo che, con Bacco ed Arianna, accompagna il signore del vino e della ebbrezza. Priapo, dall'accadico pir'i-appu, ossia pit'u, fanciullo e appu, cioè punta, pene,( G. Semerano, Le origini della cultura europea. Dizionari etimologici, Tomo II°) è il dio che si caratterizza per lo straordinario apparato sessuale e che, proprio per la sua qualità di inesorabile dispensatore di vita, svolge una fondamentale funzione apotropaica, in quanto capace di allontanare i malefici degli invidiosi: questa virtù vale soprattutto per i popoli pastori ed agricoltori, come suggerisce la conformazione fisica del dio, non di rado effigiato coi tratti caprini. Ma non è affatto ignota alle matrone romane che usano sfoggiare ricche riproduzioni dell'enorme fallo esibito da Priapo, alla stregua di un potente amuleto in grado di assicurare sicura ed abbondante progenie. Non a caso, quindi, all'ingresso di molte tombe etrusche, venivano frequentemente installate pietre dalla caratteristica forma fallica, appunto con evidente intento propiziatorio di affermare il superamento della morte e dell'annullamento dell'esistenza fisica.

Molto spesso il simulacro di Priapo si riduceva allo sbozzamento falliforme di tronchi di fico, messi all'ingresso delle case, ma anche degli orti e delle coltivazioni. Si riteneva infatti che il frutto del fico, sia per la sua forma che ricorda l'organo femminile, sia per il lattice che produce e che ha una evidente analogia con il liquido spermatico, avesse una formidabile capacità fecondante. Significativo è, a tale riguardo, il fatto che Adamo ed Eva, i progenitori della umanità tutta, dopo aver assaporato il frutto dell'albero proibito, si ricoprirono con una foglia di fico. Mentre i due gemelli, Romolo e Remo, furono allattati all'ombra del fico ruminale, a segnare proprio l'idea di generazione infinita della loro stirpe. Il rapporto tra il fico e la capacità erotica e generante era anche noto alla Scuola Medica Salernitana "... veneremque vocat, sed cuilibet obstat" , ossia provoca lo stimolo venereo anche a chi vi si oppone. E proprio a base di zuccherosi fichi priapici, la cui consumazione si doveva accompagnare con abbondanti libagioni del vino sacro a Dioniso, allude Bagnoli quando identifica i peni dell' albero dell'Abbondanza coi dolci propiziatori di antichi riti pagani.

Sostiene Maria Gimbutas

Certo: è del tutto plausibile che dietro all'albero carico di falli riprodotto sulle Fonti dell'Abbondanza vi sia tutto questo complesso back – ground culturale, verosimilmente trasmesso attraverso la tradizione etrusca – radicata fin da epoca remota in zona, come attesta l'abitato minerario dell'Accesa, risalente almeno alla fine del VII secolo a.C. – e saldamente mantenuta, nonostante l'opera di evangelizzazione intervenuta dopo Costantino, ancora in pieno medioevo, come denunciava, a metà del XV secolo, il massetano-senese Bernardino degli Albizzeschi.

D'altra parte il tema della fertilità legata a simboli fallici rientra in quella, diffusa nell'area mediterranea e non solo, che la antropologa M. Gimbutas definisce "colonna della vita", ossia la "incarnazione della misteriosa forza vitale, il legame tra il non essere e l'essere. Si credeva che tale nucleare forza di vita", aggiunge appunto la Gimbutas, "fosse inerente all'uovo, al serpente, all'acqua ed al corpo della Dea, nella fattispecie al suo utero, che si concretizza in una grotta, una cripta sotterranea o una struttura megalitica". (M. Gimbutas, Il linguaggio della Dea). Gli esempi di grotte-utero corredate di falli, in argilla, d'osso o semplicemente dipinti in area mediterranea sono innumerevoli. Spiccano,tra i tanti la statuetta di Savignano sul Rubicone, in Emilia, risalente al Gravettiano (20.000 a.C.?) dalla forma femminile con la testa fallica; e la figura in calcare con caratteristiche maschili e femminili proveniente da Limassol, Cipro, e risalente al 3000 a.C. Da sottolineare la ricorrenza simbolica, registrata appunto anche a Massa Marittima, del rapporto tra acqua e fallo, con la straordinaria suggestione, non ignota alla simbologia cristiana, della grotta ...

Dall'Inghilterra una nuova strada

Ma non tutti la pensano come Alessandro Bagnoli. Ci sono infatti anche altre interpretazioni sul conto dell'albero massetano, come quella proposta dall'inglese George Ferzoco, direttore del Centro di studi toscani della Università di Leicester. "Coloro che hanno affermato che" l'affresco della fecondità "sia un simbolo di fertilità si sono basati, in maniera naturale e comprensibile, sull'immagine dei falli visibili sull'albero e sul fatto che sin dai tempi dei Romani e degli Etruschi, il pene era considerato un simbolo di fortuna e fertilità ..." Nonostante questo è appunto possibile un'altra, diversa, interpretazione. Infatti, "abbiamo l'immagine di due donne che sembrano nel bel mezzo di una colluttazione per impossessarsi di uno di questi peni, quindi questo presunto simbolo di fertilità che dovrebbe portare vita e bontà, in effetti è causa di conflitti ... In modo ancora più significativo, c'è una donna sulla sinistra del murale, in piedi in quella che io definisco la posa ‘Lady Di' ... ti rendi conto che uno di questi peni la sta sodomizzando. Non si può rimanere in cinta tramite la sodomia, è quanto di peggio nel campo della non-fertilità. C'è qualcosa in questo murale che sovverte le nozioni di fertilità." E il messaggio della non fertilità sarebbe confermato dalla presenza dell'Aquila Imperiale, simbolo Ghibellino che, in quanto rimasto dopo l'ascesa Guelfa, avrebbe un solo significato, quello "di indurre nell'osservatore una sorta di relazione fra ciò che è innaturale e cattivo da una parte e il partito dei Ghibellini dall'altra." (G. Ferzoco, Il murale di Massa marittima)

Sempre secondo Ferzoco, allora, si tratterebbe della rappresentazione di un vero e proprio elemento sovversivo, del tutto "altro" rispetto all'ordine normale delle cose e quindi, da questo punto di vista, assolutamente innaturale. L'elemento chiave di tale sovversione andrebbe individuato nel "simbolo di una delle due fazioni politiche in lotta a quei tempi, simbolo abbondantemente raffigurato nel murale: l'Aquila ... del partito Ghibellino. La giustapposizione del simbolo di questo partito con un altro simbolo usato in maniera innaturale, infertile, ha lo scopo di indurre nell'osservatore una sorta di relazione fra ciò che è innaturale e cattivo da una parte e il partito dei Ghibellini dall'altra. Acquista ancor più significato se si considera che per quasi tutta la sua storia come Città-stato indipendente, Massa Marittima era controllata dal partito dei Guelfi, avversari dei Ghibellini." (G. Ferzoco, Il murale di Massa marittima)

Streghe

Ferzoco avanza poi un'altra, stimolante ipotesi: è infatti convinto che il "murale" di Massa Marittima sia uno dei primi esempi di rappresentazione (pubblica) della stregoneria medievale in Europa ... "Il fatto che questa donna" – la seconda da sinistra, quella posta accanto alla c.d. Lady Di – "stia scuotendo un nido sull' albero era passato quasi del tutto inosservato. Questo in parte perché il nido non si vede facilmente e anche perché guardando l'immagine nel suo insieme si ha l'impressione che [la donna] stia agitando il bastone per spaventare gli uccelli che svolazzano intorno o che stia cercando di scrollare l'albero per accaparrarsi qualche frutto. Ma la connessione della donna col nido è molto importante." E rimanda, in particolare, ad un passo del "Malleus maleficarum", il testo, realizzato alla fine del XV secolo dai domenicani Heinrich Institor Kramer e Jacob Sprenger, messo a punto per identificare e punire coloro che si macchiavano dei peccati di eresia e di stregoneria. In uno dei passi di questo testo, che raccoglie tradizioni e credenze ammontanti sicuramente a tempi molto più remoti rispetto a quello della sua pubblicazione, si fa esplicito riferimento alla (cruenta) pratica stregonesca del taglio del pene, operato a danno di incauti soggiogati dai malefici di maliarde e di facitrici, ed alla sua collocazione su rami di alberi.

Significativo è, al riguardo, il passo del Malleus maleficarum: "infine, che cosa bisogna pensare di quelle streghe che raccolgono membri virili, talora anche in numero considerevole, anche venti o trenta, e li mettono nei nidi degli uccelli o in uno scrigno, in cui essi si muovono come membri vivi, mangiando avena o altre cose come è stato visto fare da molti e come comunemente corre voce? Bisogna dire che tutto questo è frutto dell'operazione e dell'illusione del diavolo, dato che i sensi dei testimoni vengono ingannati nel modo che si è detto ..."Ossia mediante la perturbazione dell'organo della vista attraverso la trasformazione delle specie sensibili nella potenza immaginativa". (H. Institor e J.Sprenger, Il martello delle streghe).

Chi scrive si astiene, di fronte al problema interpretativo posto, dal prendere posizione. Si limita solo ad osservare che le strade della stregoneria riguardano molto da vicino Massa Marittima ed in particolare la decisa – e cruenta condanna – alla quale incantatrici, maliarde e facitrici, saranno sottoposte a partire dal XIII secolo in poi, molto diversamente rispetto alla relativamente blanda comprensione registrata nei secoli precedenti. Infatti, nella azione di contrasto e di punizione si segnalerà, tra gli altri, proprio un massetano, Bernardino degli Albizzeschi che, fin dal 1417 avvierà la propria intensa attività di predicatore francescano, risultando uno dei più straordinari comunicatori di ogni tempo. Uno degli oggetti delle prediche bernardiniane era proprio data dalla dimensione magica. "... el sicondo peccato che discende da la superbia, si è il peccato de li incanti e di indivinamenti, e per questo peccato Iddio manda spesso fragelli a le città". (Bernadino degli Albizzeschi. Prediche volgari sul Campo di Siena 1427) A lui, probabilmente, si deve la volgarizzazione del termine strega, da striga, l'uccello notturno che, secondo la tradizione, succhiava il sangue dei bambini. Ma questa è un'altra storia ...

VINICIO SERINO

Il famoso affresco ...
affresco

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