"Mentre si lavano i piatti si dovrebbero solo lavare i piatti, il che significa che mentre si lavano i piatti si dovrebbe essere completamente consapevoli del fatto che si stanno lavando i piatti. In un primo momento ciò potrebbe sembrare stupido: perché enfatizzare tanto una cosa così semplice? Ma è esattamente questo il punto. Il fatto che io stia lì a lavare i piatti è una realtà mirabile. In quel momento sono totalmente me stesso, seguendo il mio respiro, conscio della mia presenza e consapevole dei miei pensieri e delle mie azioni" Thich Nhat Hahn, in "Il Miracolo della Consapevolezza" |
La danza è un'espressione tipica degli esseri viventi che ha molteplici funzioni tra cui quella di espressione e regolazione degli equilibri psichici individuali e collettivi.1 Essa si esprime attraverso il corpo, sistema di codici polisemici e identità del "corpo che è un Uomo che danza". L'uomo/corpo entra in contatto e si appropria, attraverso la dialettica degli opposti che caratterizza la coreutica, della completa aderenza al qui ed ora che sta accadendo, della propria appartenenza alla realtà. Sperimenta, esprimendo ed espandendo i gesti, un percorso che dalla concretezza del gesto arriva a contattare il simbolo, luogo dell'essenza e della persistenza delle cose della realtà. Il corpo, centro di questo esperire, è luogo dell'integrazione tra materiale ed immateriale, tra pensiero ed azione; sviluppa spazio che viene significato dalla ritmicità del tempo, oltre che consistenza ed effusione di significati. In questo spazio Il "corpo di un uomo che danza" è soggetto ad una particolare economia: non produce nulla e nulla è a lui alienabile ed attorno al suo gesto sperimenta la propria consistenza, la propria struttura. Il gesto coreutico, poi, avviene, significa e sparisce in una continua rigenerazione di senso e densità dell'Io. La ritualità ciclica della danza regola gli accumuli di significati, dissipando gli eccessi che andrebbero a pietrificare il corpo danzante. Il "corpo di un uomo che danza" nella danza-movimento-terapia aggiunge a ciò un elemento fondamentale: l'acquisizione della consapevolezza dell'esserci, Io, in una realtà permanete abitata anche dall'Altro. Proporre un lavoro di danza-movimento-terapia all'interno del percorso psicoterapico, acquisisce la valenza di facilitare i processi di significazione, strutturazione e di simbolizzazione in una realtà che è a misura d'uomo. E dopo quindici anni di lavoro come psicoterapeuta interpersonalista ho cercato nelle tecniche corporee un approccio ad alcune difficoltà che vedevo presentarsi e nel setting psicoterapico. Mi sono spesso ritrovata, cioè, a "gestire" la relazione con "il paziente che non-c'è", colui che vive uno stato di non-accoglienza e peregrino o viandante o navigante, ha esperito come soluzione vitale di prendere un fagotto montato su un bastone ed andare… Egli arriva nel mio studio reggendo sulle sue spalle quel fagotto legato all'estremità di un bastone, ormai ricurvo e profondamente scheggiato che rischia di spezzarsi. Arriva e mi domanda psicoterapia (tipicamente per ridare energia a quel bastone che nel suo immaginario dovrà ancora portare il fagotto), mostrandomi l'equilibrio che lo ha condotto nella sua vita. Tale equilibrio ha fatto sì che questo strano viandante, lasciata la casa natia per andare nel mondo, facesse del fagotto il suo mondo e nel reggerne il peso vivesse la sensazione della propria consistenza garantendosi una sorta di permanenza e, denegando la realtà perché brutta ed ostile, sviluppasse un sentimento di flottanza, più che di radicamento ad essa, tanto che i suoi passi divennero la sua terra, il suo orizzonte la fatica, il suo cielo la nostalgia. Questo viandante va per non morire, ma non per vivere. Così nella sinergia di passi, fatica e nostalgia, quale persona, quale tipo di incarnazione vive la persona? Quale struttura e quali significazioni si rendono disponibili? Quale tipo di relazione può stabilire il viandante con ciò e con chi è al di fuori di lui senza sollevare profondi sentimenti di angoscia e sgomento, tali da interessare sistemi di sicurezza pericolosi per l'integrità dell'Io? Un viandante così ripiegato su se stesso, così stranamente per il mondo, che è solo il suo mondo, estraneo alla realtà ed alla leggerezza, che si siede difronte a me sulla poltrona del mio studio, ha tanto da dirmi, da raccontarmi, non ha spazio per ascoltare, guardare, interagire. Il paziente in quel momento rischia di diventare un fagotto sul bastone della mia tecnica di lavoro e dei miei vissuti personali e, visto che mi peserebbe, rischierei di non accoglierlo ed, ancor peggio, di buttarlo via. Il paziente si propone come "un Io altro da se stesso" dove l'esperienza di sé è scotomizzata dal proprio corpo che non sarà il luogo e la consistenza dell'Io, bensì il non-luogo poco raggiungibile e poco conoscibile. La realtà che il paziente porta in seduta è aleatoria, fatta di "casi", di situazioni vittimizzanti, di violenze e racconti monocromatici. Il tempo è dilatato in un processo continuo ed indefinito e, come sostiene Zenone nel paradosso di "Achille e la tartaruga", una sequenza di infiniti eventi non porterà mai ad alcuna meta. Lo spazio poi, vissuto troppo dilatato, non permette cambiamenti, impedendo di fatto delle trasformazioni di dualità tanto che se ad A segue B non significa che B precede ad A. Nella dilatazione le relazioni si perdono vagolanti in uno spazio ed in un tempo non definibili, il senso della forza di gravità è sostituito dal senso del tragico e la verticalità2 vissuta come una condizione di solitudine inaccettabile. In una realtà punteggiata e sgranata, l'elemento organizzatore è la fatica, l'esperienza della Struttura, compresa quella del proprio corpo, è poco sintetizzabile. L'Io rimane con i confini mal tracciati e "l'ensamble corpo"3 porta delle dissonanze e delle disarmonie che insistono patologicamente sia sulla percezione di sé che sulla relazione con l'altro. Il bisogno di soddisfazione viene percepito come un grande bisogno di nutrimento e di pesantezza che garantiscano l'esistenza. Per dare risposta a questi bisogni mi sono avvicinata alla tecnica della danzamovimentoterapia nello specifico della "Expression Primitive"4 (E.P.), affrontando una formazione con il dr. Johan Dhaese, danza-terapeuta belga. Il metodo della "E. P." è una tecnica corporea creata dall'haitiano Hernes Douplan5 danzatore della compagnia afro-americana di Katherine Dunham, ed introdotta da lui in Francia negli anni 70. Tale tecnica è stata poi ripresa e organizzata come forma di terapia dalla psicoanalista France Schott-Billman. È una tecnica gruppale basata sulla compresenza di tre elementi: ritmo, voce e movimento. Il Ritmo è binario , base della danza, , è pulsazione cardiaca, il senso della legge della realtà, la presenza del padre che pone ordine, la prima sperimentazione ed organizzazione del dentro-fuori, il canale principale ove far defluire le pulsioni. La struttura ritmica è la prima con la quale il paziente viene a contatto, una base sicura su cui esprimere il proprio movimento. Il ritmo trascende il gruppo ed il conduttore, da entrambi deve essere rispettato, insieme lo condividono. Il ritmo significa un ordine superiore che va al di là del singolo essere umano, un ordine della realtà che non può essere negato e mentre viene conosciuto e interiorizzato, si scopre di averlo dentro. Inizialmente il ritmo è vissuto con sgomento, ma presto questa percezione si trasforma in una sensazione di possibilità e liberazione. Infatti, unito all'aspetto ludico di questa tecnica, la presenza del ritmo permette a ciascuno di aggirare le proprie resistenze inconsce e lasciarsi andare organizzando delle canalizzazioni alle pulsioni. E, se esprimere le pulsioni più primitive è difficile, meno complesso e umanamente più accettabile è l'esprimerle per raggiungere una meta socialmente approvabile. Esemplificando, se vorremo condurre il gruppo ad esprimere la rabbia faremo danzare il taglio di un tronco d'albero, oppure il martello che spacca la roccia, il zappare la terra… Se invece vorremo esperire pulsioni d'amore chiederemo al gruppo di danzare lo sbocciare di un fiore, l'accendersi delle stelle, prendere dalla terra qualcosa di buono e donarlo…. Ogni pulsione, cioè, è canalizzata nella rappresentazione di un simbolo, espresso attraverso il gesto e la qualità di questo. Il movimento che ne consegue è finalizzato ed il piacere che ne deriva è funzionale. Nell'uso del simbolo si ripetono sì gesti ancestrali e transculturali, ma anche quelli tipici delle strutture psichiche primarie presenti nelle fasi primitive della vita di ciascuno: il contatto con la madre, il sentimento dell'holding, le leggi del padre, il sentimento edipico dell'attrazione e l'effusione di quell'energia verso il mondo. È Il simbolo che integra la realtà del "qui ed ora" all'ontogenesi dell'uomo. Con il termine "Primitive", infatti, si esprime questa doppia valenza e si raggiunge l'obiettivo di riaprire la porta dell'inconscio che, a causa delle vicissitudini del paziente, un dì si chiuse. Nel movimento danzato6, ripetuto all'interno della medesima sequenza, si induce il paziente ad interiorizzare il simbolo fino a giungere alla personalizzazione del gesto. La ripetizione favorisce il lasciarsi andare. Gli aspetti istintuali sono risvegliati e si assiste ad una sinergia che convoglia verso una sorta di gemmazione dell'Io. E, affinché ciò avvenga, occorre che il paziente non perda di vista se stesso e non arrivi mai ad identificarsi con il simbolo che danza, ma rimanga sempre nella posizione di mettersi in relazione con esso. Per questo tutta la sessione di danza fa uso costante della voce e del canto. La voce, terzo elemento di base di questo metodo di terapia, nel canto sottolinea la presenza attiva di sé, il proprio essere diversi dagli altri, il sentimento di appartenenza al gruppo accettando di fare coro, la permanenza di sé nel "qui ed ora" della sessione di gruppo. I pazienti più regrediti faticano inizialmente ad utilizzare la voce, non sono abituati ad ascoltare la loro voce e spesso hanno sentimenti di paura, vergogna ed imbarazzo iniziali. Nel sentimento dell'appartenenza vivono il sentimento del con-fondersi per cui rifiutano pervicacemente il canto, o cantano con la mente (appartenere di nascosto dagli altri), faticano ad esserci e non cantando stanno nel gruppo in modo scisso. Ma crescendo il desiderio ed il coraggio di esserci, prendendo forza dalla semplicità , dalla gradualità e dalla gioiosità della proposta, si arriva ad esprimere la propria voce e cantare, generando armonie e senza mai confondersi l'un l'altro. Il confluire degli elementi descritti: ritmo, voce, movimento e simbolo organizzano un tempo discreto su cui si innesta un processo continuo che tende all'infinito. La sinergia che si crea tra il movimento dei piedi che battono sulla terra, i movimenti del corpo che danza il simbolo, la voce che sottolinea la presenza del soggetto nella relazione con ciò che danza, è identificabile come un "Processo di Densità": un percorso di integrazione somato-psichica, nello sviluppo della consapevolezza del proprio esistere ed esserci nel mondo, in mezzo agli altri, con le proprie potenzialità, emozioni, risorse e pulsioni. Il sentimento della densità, che non ha bisogno del tragico perché accetta l'attrazione della forza di gravità e vive la verticalità come possibilità di incontro, è generato dal un momento Estetico concepito in E.P. come il raggiunto equilibrio armonico fra ritmo, voce e movimento. Il ritmo elemento semplice ed essenziale, crea spazio ad una emozione che porta le medesime caratteristiche, una "Retta Emozione",7 che non imperniata sull'elemento del tragico, è capace di esaltare ed accogliere una policromia di emotiva in un continuum tra sgomento e stupore favorendo così i processi trasformativi. Valorizzando il corpo, il mio corpo: mia casa e mio Io, base certa del mio esistere, luogo di esperienza, il paziente si relaziona e conosce se stesso e la realtà fino a sentirsi inscritto tra terra e cielo, aumenta la possibilità di scambi energetici tra sé e l'ambiente, incrementando le proprie risorse. Si giunge così a quella che è l'essenza ultima e più importante della danza "Expression Primitive": è la danza dell'incontro con l'Altro. In ultima sintesi, L'"Expression Primitive" offre al paziente la possibilità di sviluppare consapevolezza di sé e relazione con L'altro da sé. Nell'uso del ritmo battuto sulla terra si conoscere il Tempo, che, da elemento senza forma, si materializza e si struttura nella pulsazione, diviene l'organizzatore dell'esperienza e la misura dei passi nella realtà. Il tempo, poi, si trasforma nel suo defluire in Spazio dell'espressione personale che parte dal Via e termina con lo Stop. Il Via e lo Stop sono una delle "coppie di opposti" su cui si struttura questa metodica e ne da la cornice ultima. Il Via sarà lo spazio dell'analisi della realtà e lo Stop quello della sintesi dell'Io che aprirà a sua volta a nuovi momenti di analisi. Il paziente sperimentando ciò, potrà definire delle sue relazioni posizionali all'interno della realtà. L' energia vitale sarà a lui disponibile, si manifesterà come "desiderio di esserci", di provare, di muoversi, di lasciarsi andare ed anche di cantare! Ed il canto, così come afferma A. Tomatis, è sorgente di energia: favorendo i processi espressivi e creativi. Il canto permette l'esplorazione del proprio corpo e dell'ambiente stimolando fra i due una con-vibrazione generatrice di assonanze, armonie e nuove energie. Quando il paziente comincia a cantare, quindi, quando si ode il nascere della sua voce, lì è pronto ad iniziare la sua narrazione e quel tanto che ha da raccontare viene sostenuto anche nella seduta individuale di psicoterapia dall'energia che sgorga dal sentimento della consistenza che apre alla consapevolezza di "io sto parlando con la mia voce a te". Tale desiderio di esserci attrarrà lui, viandante, in psicoterapia, perché luogo di relazione con il suo terapeuta, spazio di strutturazione di diversi livelli di densità dell'Io, contenitore di una narrazione ora possibile e di sedimentazione della realtà dell'esistenza in questo tempo. Ora quel fagotto, che non è più tutto il mondo, sarà solo un corredo che potrà essere utile per il viaggio. NOTE DI CHIUSURA
BIBLIOGRAFIABELLIA E., Danzare le origini, Edizioni scientifiche Magi, Roma, 2000 FRAISSE P., Psycologie du ritme, P.U.F., Paris, 1974 LESAGE B., La danse dans le processus thérapeutique, ed. érès, Ramonville Saint-Agne 2006 DE MARTINO E., La terra del Rimorso, ed Il Saggiatore, Milano, 1961 MUSCELLI C., In Cerca di Danza, ed. Costa e Nolan, Ancona, 1999 TOMATIS A., L'orecchio e la voce, ed. Baldini & Castaldi, 1983 TOSARELLI L., La Voce, L'Energia e ilCorpo, tesi di specializzazione in danza terapia”Expression Primitive”, centro “ V.Z.W. Andha” danse e primitivie expressie , dr. Johan Dhaese, febbraio 2007 SCHOTT-BILLMAN F., Le besion de danser, ed. Odile Jacobs 2001 SCHOTT-BILLMAN F. Le primitivisme en dance, ed. La recherche en danse, Paris SULLIVAN H.S. Teoria interpersonale della psichiatria, Feltrinelli Milano 1977 |