Indice generale
Logo Rivista Logo Concordia Ecclesiae

Cappuccetto rosso ed Erich Fromm: il linguaggio ritrovato

Alida Cresti

"Ci fu un tempo, che ogni suono aveva un senso e significato... a quel tempo anche gli uccelli avevano un linguaggio che tutti capivano..."1 Ecco un "incipit narrativo" fiabesco che sarebbe certamente piaciuto molto a Fromm, teso al recupero di un linguaggio appunto dimenticato, quello simbolico, che "parla" gli istinti e le speranze dell'uomo, linguaggio che, pur appartenendoci da sempre, appare ormai spesso "musica senza parole" 2.

Il simbolo, schermo sottilissimo, appare pur tuttavia opaco alla comprensione immediata, ed emergendo nel sogno, nel mito, nell'arte, nella fiaba, indica con la sua presenza un'assenza da decifrare, perché certo, possiamo dire che ovunque un uomo esista, e parli, e desideri, e sogni, e crei, là emerge il simbolo, barriera alla immediata percezione del senso, ma insieme legame (etimologicamente infatti "sumbolon" indica un'idea di ricongiungimento) misterioso, unico linguaggio veramente universale, che ci accomuna, uomini di età e geografie diverse, secondo una fratellanza universale.

Una delle zone privilegiate per l'emergere del simbolo è certamente la fiaba, e nella sua rivalorizzazione del linguaggio simbolico Fromm si occupa appunto di una delle fiabe più amate e diffuse: Cappuccetto Rosso, che egli conosce nella versione "classica" dei F.lli Grimm, ma che è fiaba universale, presente in aree anche lontanissime, come ad esempio in Corea, dove, ovviamente, al lupo si sostituisce una comunque altrettanto temibile tigre.

Fromm offre di questa fiaba una interpretazione molto contrastata: egli la vede infatti espressione del millenario conflitto uomo-donna, che già oppose il patriarcato al matriarcato, originario statuto femminile, che si ribalta appunto dopo aspre lotte mossegli dalla emergente società maschile; è una lotta, che, ribaltando le sorti del potere, sottomette la donna all'uomo, generando tuttavia una catena di rancore e di vendette tuttora operanti: la fiaba mostrerebbe allora una sorta di "rappresaglia" del mondo femminile ormai sconfitto, che raffigura nel lupo, che si perde a causa della sua stessa avidità (aver voluto mangiare sia la Nonna che Cappuccetto Rosso), il maschio, violento e rapace anch'esso, che nell'atto sessuale addirittura mangia il partner: l'atto sessuale è quindi atto di violenza, di cannibalica reintroiezione, che tuttavia ha l'irresistibile fascino del "necessario"!

Ma la voracità del lupo significa anche altro: il bisogno maschile di rivaleggiare con la capacità generativa della donna, e che viene punito nella grottesca gravidanza cui la stessa Cappuccetto Rosso lo condanna, ponendogli delle pietre, simbolo di sterilità, nel ventre, e così uccidendolo.

Lo perde così la sua invidia, l'aver voluto "recitare la parte della donna incinta, portando nel suo ventre esseri vivi"3, la fiaba e allora "la storia del trionfo delle donne che odiano gli uomini, e termina con la loro vittoria, esattamente all' opposto del mito di Edipo nel quale si afferma la figura dell'uomo"4. Una formazione reattiva, diremmo noi adesso, da parte del mondo femminile sconfitto, simile a quella che raffigurava invincibili le Amazzoni, ma che certo è anche indicativa di una fantasmatica primaria, di invidia appunto, che è la vera profonda verità psicologica espressa dalla teoria del matriarcato e patriarcato contrapposti, che esprime, secondo noi, una invidia e rivalità verso l'altro sesso come supposta perdita di una parte di sé, di quella parte che ci rendeva androgini perfetti e narcisisticamente compiuti, in quella perfetta totalità espressa dai miti con il simbolo dell'uovo cosmico, come unità primordiale che contiene in germe la molteplicità degli esseri. Esprime la ricerca di quella perduta auto sufficienza, la negazione di quella "ferita" che abbiamo subito con la nascita, che implica invece il riconoscimento di una' 'mancanza" che deve essere colmata da altri, e ci rimanda a ciò che già Freud aveva indicato come complesso di castrazione e di invidia del pene da parte della donna, cui corrisponderebbe simmetricamente, secondo Fromm ed altri, appunto una invidia di gravidanza da parte maschile5.

Ma ascoltiamo direttamente Fromm a proposito di Cappuccetto Rosso: "La maggior parte del simbolismo contenuto in questa favola può essere compreso senza difficoltà. Il "cappuccetto di velluto rosso" è un simbolo delle mestruazioni. La ragazzina di cui ascoltiamo le avventure è diventata una donna matura e si trova ora di fronte al problema del sesso"6. L'interpretazione di Fromm quindi, come del resto di tutti gli "esegeti" di questa fiaba, si dipana dal simbolo del "cappuccetto rosso", che viene interpretato come rivelazione di una avvenuta maturazione sessuale della bambina, che ancora immatura psicologicamente, si avventura nel mondo della mortale fascinazione del sesso, rischiando però di venirne sommersa: inghiottita, appunto, riflettendo però anche una problematica più vasta, sociale, dell'incontro uomo-donna e dei conflitti che ne derivano. E proprio qui si appuntano le critiche di coloro che ritengono mistificante l'interpretazione di Fromm (come quella di ogni altro psicoanalista del resto), dato che in realtà nelle versioni più antiche, in Europa quelle francesi che sembrano originarie del motivo, manca totalmente questo dettaglio, da cui prende addirittura il nome la fiaba, e cioè manca proprio quel cappuccio di velluto rosso fatto dalle amorevoli mani della nonna, e che è invece la chiave di volta di ogni esegesi psicoanalitica!

Robert Darnton così enumera tutti i "misfatti" perpetrati ai danni della verità della fiaba da parte della "cattiva fede psicoanalitica": "Fromm ha interpretato la fiaba come un enigma dell'inconscio collettivo nella società primitiva, e lo ha risolto 'senza difficoltà' decifrandone il 'linguaggio simbolico'. La storia riguarda un'adolescente messa di fronte alla sessualità adulta. Il significato nascosto appare attraverso il simbolismo - ma i simboli considerati da Fromm nella sua versione del testo si basano su dettagli che non esistevano nelle versioni dei secoli diciassettesimo e diciottesimo. Così l'attenzione si concentra sul cappuccio rosso (inesistente), visto come simbolo delle mestruazioni... Il lupo è il maschio affascinante, e le due pietre (inesistenti) introdotte nel ventre del lupo dopo che il cacciatore (inesistente) ne ha estratto la ragazza e la nonna rappresentano la sterilità. Così, con una prodigiosa sensibilità per i dettagli che non c'erano nella fiaba popolare originale, lo psicoanalista ci conduce in un universo intellettuale che non è mai esistito, almeno non prima dell'avvento della psicoanalisi"7. Tutto questo mistificante fraintendimento, per cui l'interpretazione psicoanalitica sarebbe essa stessa una "fiaba", del tutto fantastica, sarebbe dovuto certo ad un "dogmatismo professionale", ma soprattutto ad una sostanziale ignoranza, voluta, della dimensione storica ed antropologica del racconto fiabesco.

Certo la contestazione, che ci rimbalza anche da altre parti, ci appare a tutta prima inconfutabile, tanto più che anche nella stessa versione dei F.lli Grimm, tedesca, se ovviamente appare il dettaglio del cappuccetto rosso, mancante appunto in versioni più antiche, così come manca la vendetta sul lupo ed il successivo lieto fine, presenta un altro possibile elemento di confutazione, dato che in tedesco il termine "Hind" significa sia bambino che bambina (come il child inglese), ed allora ancor più spericolata affabulazione appare il vedere come significante delle prime mestruazioni quel rosso cappuccetto che, se appartenesse ad un maschi etto, ribalterebbe allora del tutto il senso della fiaba.

Così, come già accadde a quella antichissima "personcina" (bambino o bambina che fosse) che, forse anche sprovvista del tutto di ogni qualsivoglia cappuccetto, rosso o di altro colore, purtuttavia incontrò un lupo seduttore, con tutto quel che ne seguì, come lei oggi noi abbiamo due sentieri da percorrere per difendere la nostra buona fede di psicoanalisti "quello degli spilli o quello degli aghi"?8, entrambi certamente impervi ad un agevole cammino.

Ma si sa, da sempre le fiabe sono repertorio di ardue prove e così sarà anche per noi.

Mi piace subito affermare che la "fiaba popolare di magia", quella che la tradizione orale ci ha tramandato, e che soltanto da qualche secolo si è anche trascritta nelle pagine, è "contenitore" non vuoto ma colmo e sfaccettato di sensi, propri alla intriseca polisemia del simbolo; è dotata di una essenziale diacronia strutturale, dato che la fiaba, se sincronicamente unisce narratore-narrante in un'unica esperienza attuale (nel rapporto affettivo adulto-bambino che si propone nel qui-ed-ora del tempo narrativo), tuttavia, diacronicamente, si proietta in avanti per l'ascoltatore-bambino, che anticipa nell'errore della fiaba il compimento del suo destino pulsionale, mentre ripercorre all'indietro il cammino compiuto dall'adulto, che ritrova inv~ce nella fiaba la sorgente prima dei desideri.

è infatti momento sin cronico l'atto del raccontare, che istituisce una "comunicazione intenzionale" tra adulto e bambino, momento di confluenza da parte di entrambi di diverse esperienze e desideri affettivi, attualizzati e convogliati nella presente relazione.

La fiaba così "spiega" la relazione, esprimendo i fantasmi soggiacenti il rapporto adulto-bambino. è tuttavia anche diacronica, in quanto possibile di due diverse fruibilità del proprio racconto; da parte del bambino e dell'adulto, sia esso il narratore, o come in passato anche ascoltatore (dato che soltanto da poco la fiaba è esclusivo patrimonio infantile, avendo prima auditorio più vasto e partecipe).

Così il narrare-ascoltare fiabe diventa rito duale, convergenza di consapevolezze che il non-tempo dell'incoscio salda in una catena sincronica dove il "ricordo" di eventi futuri è "profezia" del passato, e sarà per entrambi "svelamento" e "memoria", e certo "ponte" che stabilisca possibilità nuove di comprendersi oltre le sponde del tempo differente!

E certo la fiaba, così simile al sogno, cui primariamente Freud l'assimilò, come questo esige una interpretazione, e ci sprona ad un processo di svelamento e di recupero di quel "linguaggio" (simbolico) altrimenti inesplorato e dimenticato, che si proponga come collegamento e riconoscimento tra un passato, personale e collettivo, altrimenti perduto, ed un futuro, che sia promessa comprensibile, e che discenda da un presente "esplorato" e quindi meno confuso ed ermetico.

Così la fiaba, come ogni altra espressione dell'universo affettivo ed immaginativo umano, è misterioso palinsesto di significati espressi con scarna efficacia da stilizzati significanti, che si rivela perciò capace di più livelli di lettura, e le sue immagini-simbolo, raggianti di significati, stimolano diverse e feconde comprensioni, rivelandosi così il racconto fiabesco miracolo vero, magico dono che generosamente si offre a chiunque voglia goderne.

Questo spiega anche le apparenti contraddizioni interpretative, che di volta in volta vogliono la fiaba "gioco combinatorio" di elementi strutturali mitici "declassati", vero "relitto culturale" di epoche e civiltà ormai passate, oppure riproposizione in chiave simbolica di percorsi iniziatici, siano essi "storici" che "mentali", ecc.

A me la fiaba è apparsa piuttosto come una forma simbolica, isomorfa nella struttura alla mentalità ed alla percezione del mondo del bambino, suo "utente privilegiato" , ma che in una sua triplice stratificazione fantasmatica, si rivela "specchio" del percorso psichico di ognuno di noi, anche adulti.

Infatti, sotto una fantasmatica che definirei "gruppale", legata anche ai rituali iniziatici tribali, essenzialmente puberali, ma anche misterici, che ponevano l'individuo in relazione al gruppo sociale di appartenenza, e lo sancivano (o lo riconfermavano) "individuo" all'interno del gruppo stesso, sotto questa fantasmatica, che è poi anche quella evidenziata tutto sommato da Fromm, si rintraccia una fantasmatica libidica invece essenzialmente edipica, ed ancora più profondamente, come una stratificazione geologica, una fantasmatica primaria, orale, e addirittura intrauterina.

è certo ormai, e da tutti accettato, che appunto un livello fantasmatico della fiaba (certo quello più visibile ad una prima lettura) rimanda ai rituali iniziatici puberali, che trasformavano i fanciulli, imberbi, ancora legati simbioticamente al mondo materno, e quindi nello statuto di "figli", in membri adulti della tribù, rendendoli complici legati alla società maschile, dei padri, anche con rituali paurosi e cruenti, che drammatizzavano una morte rituale dell'adepto, ed una sua successiva rinascita, attraverso un "inghiottimento" nelle fauci del "mostro" totemico, ed un successivo "parto" da parte dell'iniziatore, padre-uterino, che mimava appunto la ri-nascita del fanciullo.

Era il rosso il colore imperativamente usato in questi rituali insieme al bianco ed al nero, essendo egli, il rosso, rappresentante simbolico del sangue e quindi della vita (ma anche della morte!), elemento "libidico" di questa triade simbolica tricromica rintracciata come primaria in tutti i popoli, e che è fondamentale nei riti di passaggio, dove il rosso ed il nero, nella loro contrapposizione cromatica "marcano" il corpo dell'adepto e lo "sigillano" con le indelebili lettere di Eros e di Thanatos, mentre le opposte pulsioni si placano e si rappacificano nel bianco, che sarà ovunque il colore sacramentale del!'iniziato.

All'adepto, che subiva l'iniziazione appunto al momento della pubertà (che nelle fanciulle coincideva con l'apparire del primo mestruo), si faceva talvolta indossare un cappuccio, oppure veniva tinta di rosso la testa, e ci è agevole vedere in questo atto simbolico anche il voler dotare di una nuova membrana fetale, come "cappuccio della fortuna" il neo-nato alla società adulta, così che egli (soprattutto il fanciullo) si leghi sempre più in un patto di sangue e di solidarietà ai padri che lo "rinnovano" alla vita, cancellando nella memoria l'altra nascita, quella che lo legava ancora alla madre!

I riti iniziatici erano allora riproposizione simbolica di una nascita ad un "nuovo stato", adulto, e nelle ferite sofferte (nel maschio la circoncisione e la subincisione) si dotava l'adepto di una doppia identità sessuale, così che la ferita sanguinante diventasse significante simbolico di una vagina mestruata, come ricongiungimento nel sé di una supposta parte perduta, "diniego magico della separazione"9 dalla madre, ma, come nota Bettelheim10, anche indizio di una profonda invidia maschile per la sessualità femminile, capace di generare, e di cui la cerimonia della "couvade" riproponeva una identificazione narcisistica ed onnipotente. Il che inaspettatamente avvalora l'interpretazione frommiana da molti contestata, che vede appunto nella triste fine del lupo l'espressione di una sorta di "contrappasso", punizione grottesca e crudele per il suo peccato di invidia per un utero capace di contenere una vita in germoglio. Specularmente crudeli, ed illusoriamente "virilizzanti" attraverso manipolazioni dei genitali, erano del resto anche i rituali delle fanciulle, e Bettelheim, che ha individuato in ragazzi in età puberale (ragazzi di oggi, non primitivi!) il sorgere di spontanei "riti di iniziazione", ritiene che queste fantasie, tese a rappresentare una gratificazione allucinatoria di una doppia sessualità, siano ancor oggi ben vive ed operanti, rivelandosi allora "bisogno" psichico anche individuale e non soltanto sociale! L'interpretazione psicoanalitica dei riti puberali ci indica del resto come il rituale sia teso a difendere il ragazzo-a dall'emergenza di potenti spinte istintuali, e ad incanalarle, ma anche a superare, ritualizzandola, l'aggressività dei padri e delle madri nei confronti dei figli che pervengono alla maturità sessuale ed insidiano il loro potere: un significato anche edipico quindi, ma come anche complesso di Laio e di Giocasta!

Nella nostra fiaba non soltanto il cappuccetto rosso ci riconferma questa interpretazione legata ai rituali puberali, ma anche altri elementi, quali la presenza di un animale-totem inghiottitore (il lupo), motivo questo che si evidenzia in tutte le versioni, e che ne è anzi il "fiabema" fondamentale: essere teriomorfo, collegato alla catena simbolica del Regime Notturno, che si significa nella notte, nella "nerezza", nell'oralità paurosa e regressiva, dato che nelle sue fauci "convergono tutti i fantasmi terrificanti dell'animalità: agitazione, manducazione aggressiva, grugniti e ruggiti sinistri"11, ma anche significante delle fantasie del sonno, come reinfetamento e fascinazione (elemento primario legato al rapporto materno arcaico), che, se quindi rimanda immediatamente alla tematica iniziatica, più profondamente si rivela legato a problematiche molto più arcaiche, orali, di "animazione primaria di fantasmi cattivi"12, che si sottintende del resto in ogni rito puberale, dato che nell~ pubertà proprio all'emergere più violento delle pulsioni, si attua una regressione massiva, ed una sorta di "ricapitolazione" delle fasi libidiche già trascorse.

Io ritengo quindi che Fromm, partendo da quel rosso cappuccetto per la sua interpretazione, non commettesse arbitrio totale (bene certamente riduttivo dei diversi piani possibili di lettura), dato che la presenza o meno di questo dettaglio, come abbiamo visto, non è indispensabile alla fiaba stessa, e tuttavia la sua presenza, da Perrault in poi, è importante, perché il colore, raro nella fiaba, dove predominano i non-colori bianco e nero (accompagnati appunto soltanto dal rosso), con la sua presenza, come avviene del resto anche nel sogno13, indica qualcosa da evidenziare affettivamente (dato che il colore è collegato agli affetti ed al rapporto primario con la madre); diventa allora una" accentuazione", una sottolineatura, che si rende necessaria quando il linguaggio simbolico che "parla" la fiaba diventa sempre più "scolorito" nella memoria dei popoli; potremmo allora dire che la sua presenza rappresenta un "artificio stilistico" del linguaggio figurale della fiaba, resosi necessario dal progressivo allontanamento da una immediata comprensione del linguaggio del simbolo, così che mirabilmente condensa oniricamente in due elementi "cappuccetto rosso" (come più sotto nelle pietre nel ventre del lupo) tutta una complessa catena simbolica, che partendo dalla fantasmatica intrauterina, e poi orale (nella regressione nel ventre-utero del lupo, figura di ambigua identità sessuale), come già rilevava Freud14, arriva sino alla pubertà, che è tappa libidica fondamentale, ed iniziatica anche ai misteri della sessualità: così che questa immagine, attraverso il mascheramento simbolico, "svela" la significazione che deve essere necessariamente mantenuta, affinchè il messaggio contenuto nella fiaba non venga perduto per sempre.

Questo costellarsi di significati in un simbolo, così che non sia più soltanto immagine, ma "icona", attraverso un convergere di significazioni, è del resto propria ancor più alla "fiaba d'arte" d'autore, che utilizzando l'imagerie popolare, tradizionale, tuttavia ha bisogno di "spiegare;' in più complesse figurazioni simboliche, veri grappoli di senso, cristallizzazioni stratificate, di significati profondi, che invece la fiaba popolare, ancora così prossima strutturalmente alla sorgente dell'immaginario, al processo primario, può più asciuttamente stilizzare in ritmiche volute di raffigurazioni.

Tuttavia la presenza del rosso cappuccetto nelle versioni più note della fiaba, nobilitate dalle penne di Perrault e dei Grimm, non fu soltanto "licenza" letteraria, abbellimento, ma forse anche necessario accorgimento, un "porre tra virgolette", una sottolineatura che pur non alterando il testo, lo evidenzi anzi, laddove è importante ci si soffermi a capire, dato che ormai il linguaggio simbolico, così domestico e quotidiano ai bambini ed al popolo che lo espresse primariamente, è sempre più incomprensibile per noi adulti di oggi, civilizzati e disincantati, sempre più misterioso "suono senza parola", indecifrabile ad un primo ascolto.

Fromm colse allora questa intenzionalità inconscia, e forse altrettanto inconsciamente, rivelò come il linguaggio simbolico della fiaba sia "parola" vitale ma anche elastica, duttile di una "langue" immutabile e fondamentale che da sempre significa l'uomo.

Così quel "cappuccetto rosso" sia anche per noi invito nostalgico e presentificante di una "madeleine" proustiana che ci riconduca alla ricerca di un "tempo perduto", profumo della nostra infanzia ritrovata, che forse non fu sempre felice, ma certamente ricca di senso!

Note

  1. "Il Re di macchia" in: Fiabe-Grimm, Einaudi, Torino, 1970.
  2. Ibidem
  3. E. FROMM, Il linguaggio dimenticato, Garzanti, Milano, 1973, pago 229, Fromm infatti accetta in pieno la tesi del Bachofen sulla esistenza di un matriarcato, cui successe, dopo terribili lotte, il patriarcato, e di cui i miti "verità storiche", "care memorie del passato" raccontano le vicende. Così la fiaba di Cappuccetto Rosso simbolizza il "conflitto tra uomo e donna" e narra di una sorta di vendetta (attraverso la punizione del Lupo) delle donne sull'uomo che le ha ormai assoggettate.
  4. Ibidem. Nel mito di Edipo, Fromm evidenzia l'aspetto "relaziona1e" del conflitto ".. considerare il problema sotto una prospettiva diversa, secondo la quale non i desideri sessuali, ma uno degli aspetti fondamentali delle relazioni tra varie persone, cioè l'atteggiamento verso le autorità, è considerato il tema centrale del mito" (ibidem, pago 188).
  5. P.L. ELETTI (a cura di), AA.VV., Saggi sull'opera di Fromm: A. Cresti: "Il simbolismo di E. Fromm: alla riscoperta di un "Linguaggio Dimenticato", Le Lettere, Firenze, 1983.
  6. E. FROMM., op. cito pago 288. è il primo "strato" della costellazione simbolica della fiaba, che è stato in realtà notato da tutti gli "esegeti": la fiaba rappresenterebbe allora un ammonimento contro i pericoli del sesso nell'età puberale.
  7. R. DARNTON, "Il messaggio di Mamma Oca", in L'Illustrazione Italiana, n. 17, Giugno 1984. "Le fiabe di Mamma Oca" in: LETTERA, anno 2, n. 3, Inverno '85. Per le critiche a Fromm sullo stesso argomento, V. anche: H. RITZ, La storia di Cappuccetto Rosso, E.C.LG., Genova 1985. Fromm tuttavia aveva anche asserito: "Fin qui, la fiaba sembra avere un semplice tema moralistico, il pericolo del sesso; ma è ancor più complicata. Qual'è la parte svolta dall'uomo e com'è rappresentato il sesso?" (op. cit. pago 228). Fromm è completamente frainteso da Darnton che conclude invece "Il Lupo è il maschio violentatore. E le due pietre (mancanti) che vengono poste nella pancia del lupo dopo che il cacciatore (mancante) libera la bambina e sua nonna, rappresentano la sterilità, la punizione inflitta per aver infranto un tabù sessuale".
  8. In una versione "antica" della fiaba, dell'area francese del XVIII sec. (citata anche da R. DARNTON, op. cit.) il lupo chiede a Cappuccetto Rosso "Che sentiero prendi? Quello degli spilli o quello degli aghi?" "Il sentiero degli aghi". Cosìil lupo prese il sentiero degli spilli e giunse alla casa per primo".
  9. G. CARLONI, D. NOBILI, La mamma cattiva - fenomenologia ed antropologia del figlicidio - Rimini, Firenze, Guaraldi, 1975, pago 85: "Questo diniego magico della separazione, questo recupero allucinatorio della perduta unità vengono riprodotti simbolicamente in quei riti in cui la madre riceve, conserva o inghiotte un dente o il prepuzio del bambino". Questo per quanto riguarda la madre, ma anche il figlio attua un analogo "diniego magico" facendosi esso stesso anche essere bisessuale, dotato anche di una vagina sanguinante (la ferita "simbolica").
  10. B. BETTELHEIM, Le ferite simboliche, un 'interpretazione psicoanalitica dei riti puberali, Sansoni, Firenze, 1973.
  11. W. DURAND, Le strutture antropologiche dell'immaginario, Dedalo, Bari, 1983, pago 77
  12. F. FORNARI, La vita affettiva originaria del bambino, Feltrinelli, Milano, 1963, pago 68: "... il mondo orale fantasmatico inconscio è popolato di rappresentazioni che elaborano le esperienze sensoriali e cenestesiche in simboli arcaici relativi al prendere dentro di sé e all'essere presi dentro qualcosa, divorare ed essere divorati, ridurre a pezzi ed essere ridotti a pezzi, svuotare ed essere svuotati, comparire e scomparire dell' oggetto ecc."
  13. A. CRESTI, "Effetto incantamento: il colore nel sogno in: Rassegna di psicoterapie, voI. 13, n. 1 Gennaio/Aprile 1986, ed. Minerva Medica, Torino. Il colore "avverte" di un qualcosa che deve essere evidenziato, di un affetto, di un costellarsi di significati simbolici.
  14. S. FREUD, Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'uomo dei lupi), Opere, voI. 7, Boringhieri, Milano, 1975.
Indice di questo numero

Indice generale