John Searle è uno dei più importanti autori americani contemporanei, filosofo, linguista, cognitivista. Dagli studi di filosofia del linguaggio il suo interesse si è progressivamente spostato all'intenzionalità, all'intelligenza artificiale, alla coscienza. Partendo da queste analisi ha sviluppato un orientamento originale che egli stesso definisce naturalismo biologico, e che non rientra nelle tradizionali e correnti distinzioni, presenti sia in campo filosofico che cognitivo, tra ambito mentale e ambito fisico. "La nostra spiegazione della mente in tutti i suoi aspetti (coscienza, intenzionalità, libero arbitrio, causazione mentale, percezione, azione intenzionale ecc.) è naturalistica in questo senso: in primo luogo, tratta i fenomeni mentali come parte della natura. Dobbiamo considerare la coscienza e l'intenzionalità aspetti del mondo naturale quanto la fotosintesi o la digestione. In secondo luogo, l'apparato esplicativo usato per fornire una spiegazione in termini causali dei fenomeni mentali è necessario per spiegare la natura in generale. La ragione di ciò è che la coscienza e gli altri fenomeni mentali sono fenomeni biologici" (M, pag 265). La ricerca di Searle si è realizzata principalmente, per lo meno negli aspetti che maggiormente ci interessano, quelli relativi al tema della coscienza, nei saggi Sull'intenzionalità (1983), dove viene sviluppato il concetto di intenzionalità intrinseca, e La riscoperta della mente (1992), sul rapporto tra la coscienza e la scienza, in particolare sulle difficoltà di quest'ultima nell'affrontare e spiegare gli atti di coscienza. Secondo Searle la coscienza si struttura in base ad una ontologia soggettiva che non può essere compresa nel concetto di ontologia oggettiva che per la scienza rappresenta il modello, il paradigma della verità. Queste posizioni vengono riprese e approfondite in un lavoro successivo, Il mistero della coscienza, del 1997. La posizione che Searle vuole sostenere è l'irriducibilità del mentale al materiale e al computazionale, un mentalismo (estremamente proficuo sul piano esplicativo) senza dualismo. Contro i teorici dell'Intelligenza Artificiale (IA), che postulano nel computer stati mentali simili agli stati mentali umani, egli fa valere le sue analisi circa l'intenzionalità del mentale come capacità di mettere in relazione i propri stati con oggetti e stati di cose. Obietta loro l'irriducibilità dell'identità di prestazioni all'identità di stati, respingendo perciò il test di Turing come inadeguato ad attestare la capacità di comprendere del computer. Similmente rifiuta, contro i teorici di orientamento materialista, l'impossibilità di render conto degli stati soggettivi di coscienza, i qualia, che per Searle, lungi dall'essere un costrutto teorico, sono dei fatti imprescindibili, da cui occorre partire. La posizione di Searle è, dunque, quella di un fisicalismo non riduzionista, che ritiene irriducibili gli stati di coscienza, a causa della loro intrinseca ontologia in prima persona che non consente loro di essere ricondotti a semplici computazioni sintattiche (funzionalismo), né a eventi fisiologici (materialismo). La sua posizione, pertanto, può essere a buon diritto definita come filosofia della psicologia, in quanto cerca di salvare l'autonomia della psicologia senza respingere gli apporti delle neuroscienze, e anche come filosofia dello psicologo, in quanto tra le poche nel contesto contemporaneo che sembra dare spazio adeguato alla dimensione soggettiva (intendendo il soggetto non come realtà universale ma come persona singola ed irripetibile) con cui deve confrontarsi quotidianamente lo psicologo e che non può certo essere ridotta ad uno stato computazionale o ad un processo fisico-chimico. Searle giustifica questa sua posizione interpretando la coscienza come una proprietà di alto livello del cervello (come la liquidità dell'acqua) non riconducibile alle proprietà dei singoli componenti (i neuroni), ma neppure a delle relazioni funzionali. Una posizione che non viene giustificata, e che forse può essere considerata solo come un'affascinante metafora (Di Francesco, 2002, pag. 164), ma per Searle tale giustificazione spetta solo all'effettiva ricerca scientifica, mentre il ruolo che egli vuole svolgere è solo quello di sgombrare il campo dagli ostacoli teorici che si oppongono a questa ipotesi, di dimostrarne la plausibilità teorica.
La posizione di Searle è venuta definendosi attraverso un serrato dibattito con i più importanti teorici, sia in campo filosofico, sia psicologico, sia neurologico. Con alcuni di essi è stata trovata, almeno su alcuni aspetti, una certa sintonia, con altri il dissenso è più profondo. Il più importante documento di tale dibattito è il testo Il mistero della coscienza, raccolta di interventi apparsi nella seconda metà degli anni novanta. Nel testo sono raccolte e rielaborate sei recensioni ad altrettanti libri sul cervello e la coscienza. Le recensioni, rimarchevoli per sintesi e chiarezza, riguardano autori significativi ed interessanti relativamente al mistero della coscienza. Gli interlocutori di Searle sono il premi Nobel Crick e Edelman, il fisico Penrose, il neuroscienziato Rosenfield, i filosofi Dennett e Chalmers, in una polemica a volte vivace e stimolante. Il vero ostacolo alla soluzione del mistero della coscienza è, per Searle, l'utilizzazione di categorie ormai obsolete, ereditate dalla tradizione filosofica e scientifica connessa con la rivoluzione intellettuale del '600: i concetti di mentale, fisico, monismo, dualismo, materialismo, non sono affatto chiari e non riescono più, secondo Searle, a render conto della realtà nella sua complessità. Il dualismo mente/materia è stato certamente funzionale per la ricerca scientifica: Cartesio e Galileo operarono una netta distinzione tra il mondo fisico ed oggettivo, causale, quantificabile, necessario, non cosciente, e la realtà mentale, soggettiva, inestesa, libera, cosciente. Ma attualmente il dualismo sembra diventato un ostacolo in quanto pone la coscienza al di fuori del mondo naturale. La coscienza appare certamente qualcosa di etereo e impalpabile, se confrontata con l'oggettività e la materialità delle montagne: adottando una vecchia logica o si accetta una posizione dualista o si finisce per cadere in una posizione materialista ed eliminativistica. Qualche autore (Penrose, Chalmers) si orienta in senso dualista, altri (Dennett, Churchland) in senso riduzionista. In quest'ultimo caso la coscienza viene spesso ridotta o a programmi per computer o a stati cerebrali descritti in termini puramente fisici. Tutte queste opzioni sono per Searle improponibili, per il semplice fatto che finiscono per negare realtà a quegli stati che dovrebbero invece spiegare, come la gioia, il dolore, il disagio, le nostre esperienze soggettive in genere. La coscienza ha un'esistenza reale, senza che per questo si debba cadere nel dualismo. Essa è un fenomeno naturale e biologico, fisico, oggettivo, e nello stesso tempo un fenomeno mentale, soggettivo, qualitativo: è soggettivo perché certi stati esistono solo se vissuti da un soggetto, è oggettivo perché esso esiste come prodotto da determinati microprocessi che avvengono nel cervello (MC, pag. XIII). A questo punto il problema che bisogna porsi è in che modo esattamente i processi neurobiologici che avvengono nel cervello causino la coscienza: per esempio, come si passa da stimoli sensoriali a processi neurobiologici e infine a stati soggettivi. Non abbiamo, infatti, ancora un'idea chiara di come i processi del cervello, che sono fenomeni oggettivi e pubblicamente osservabili, producano stati interiori, qualitativi, soggettivi. Le scienze naturali hanno programmaticamente a che fare con quegli aspetti della realtà che sono intrinseci ovvero indipendenti dall'osservatore, nel senso che la loro esistenza non dipende da ciò che qualcuno pensa. Esempi di tali aspetti sono le montagne, la fotosintesi, la digestione, eccetera. Le scienze umane/sociali hanno invece a che fare con aspetti che dipendono dall'osservatore o sono relativi all'osservatore: ad esempio, il denaro, la proprietà, il matrimonio. Questo pezzo di carta è effettivamente reale, ma il fatto che noi attribuiamo ad esso il valore di 10 euro dipende solo da una convenzione, da un patto, dal fatto che tutti quanti noi decidiamo di utilizzarlo come avente quel valore. La coscienza, tuttavia, per quanto sia evidentemente soggettiva, è oggettivamente reale, intrinseca. La conclusione è che la posizione di Searle è molto più in sintonia con le ricerche dei neuroscienziati che dei filosofi. Questo è confermato anche nell'ultima parte del testo Il mistero della coscienza. L'importanza teoretica del computer, riguardo al problema della mente, appare esagerata: un computer è solo un utile strumento e nulla più. Uno dei maggiori limiti del modello computazionale è dato dal suo essere profondamente antibiologico. Esso, infatti, afferma che la mente è solo qualcosa di formale e di astratto, indipendente da qualsiasi particolare concretizzazione fisica. Questo è il punto fondamentale: l'importanza delle neuroscienze per lo studio della mente e per la psicologia. Per Searle il cervello ha un'importanza cruciale, in quanto sono i processi del cervello che causano la coscienza: questo giustifica l'importanza della neurologia per lo studio della mente. Ma nello stesso tempo Searle giustifica l'approccio psicologico, grazie all'irriducibilità del soggetto ai dati puramente fisici. Il problema della coscienza è un problema scientifico, empirico: è il problema di spiegare esattamente in che modo i processi neurobiologici del cervello causano i nostri stati soggettivi di consapevolezza o sensibilità, come esattamente questi stati vengano realizzati nelle strutture del cervello e in che modo funzioni esattamente la coscienza. L'errore che è stato fatto da alcuni teorici è stato quello di considerare il problema della coscienza come un problema filosofico, laddove invece esso è un progetto di ricerca scientifica come qualsiasi altro (MC, pag. 158). Vi è sempre stata, sia in ambito neurologico sia in ambito filosofico, una certa riluttanza ad occuparsi dei problemi della coscienza, ad ammetterne la stessa esistenza, forse per paura di cadere nelle posizioni antiscientifiche del dualismo. Ma per Searle è possibile accettare l'esistenza e l'irriducibilità della coscienza come fenomeno biologico, senza tuttavia accettare l'ontologia del dualismo tradizionale, l'idea cioè che esistano due tipi di mondi, o due tipi di proprietà nel mondo, metafisicamente e ontologicamente differenti (MC, pag. 160). Per questo McDowel lo definisce un neocartesiano, che pur considerando la res cogitans come materiale, ne conserva le sue straordinarie proprietà (2004, pag. 298). I neuroscienziati indicano la strada giusta: cercare i correlati neurali della coscienza e sviluppare una teoria che connetta causalmente, ovvero fornisca una spiegazione, fenomeni neurologici e fenomeni coscienziali, attraverso la manipolazione sperimentale delle variabili che intervengono nel contesto. Questo compito è certo difficile, per qualcuno forse impossibile, ma indubbiamente è l'unica strada percorribile. Abbiamo molti dati riguardanti ciò che effettivamente accade nel cervello, ma non abbiamo ancora una descrizione teorica unitaria di che cosa succeda a livello neurobiologico, che permetta al cervello di fare ciò che fa, determinando la causazione, la strutturazione e l'organizzazione della nostra vita mentale (MC, pag. 163). Il mistero della coscienza è il problema biologico della coscienza, e verrà risolto dalla ricerca scientifica: una ricerca scientifica che non abbia paura di analizzare l'esperienza soggettiva, che non pensi che vi sono due tipi di coscienza, che non si limiti a studiare la coscienza in terza persona, relegando la coscienza fenomenica in un ambito misterioso. Il senso di mistero sarà rimosso quando comprenderemo la biologia della coscienza con la stessa profondità di comprensione con cui conosciamo oggi la biologia della vita (MC, pag. 166). Possiamo escludere che i programmi formali dei computer possano pensare, in quanto non hanno alcun potere causale al di là di quello del mezzo in cui sono implementati (argomento della stanza cinese). Parimenti dove è coinvolta l'ontologia della coscienza, il comportamento esteriore è irrilevante: il comportamento è importante nello studio della coscienza solamente in quanto espressione o effetto di processi interiori coscienti. Il cervello è causalmente connesso con la coscienza, ma non può esserlo l'informazione (come sostiene Chalmers) o la complessità (come sostengono i funzionalisti), perché non indicano una reale caratteristica fisica del mondo: l'informazione è una caratteristica del mondo che non è indipendente dall'osservatore, la complessità di per sé non produce niente (certamente l'insieme delle molecole che compongono gli oceani è più complesso del cervello, ma questo non implica coscienza). Il naturalismo biologico di Searle non può essere considerato un'ennesima versione del materialismo o una riproposta, lievemente diversa, del dualismo delle proprietà. Searle respinge il dualismo, che considera la coscienza come qualcosa di non fisico, ma respinge anche il materialismo, perché parimenti considera la coscienza come non reale. Riguardo alle proprietà, nel mondo vi sono in effetti moltissime proprietà (economiche, gastronomiche, estetiche…), ma l'importante non è questo: la distinzione veramente importante, per il realista Searle, è quella tra ciò che esiste in sé e ciò che esiste in relazione ad altro. La coscienza esiste in sé, è una caratteristica reale ed intrinseca di alcuni sistemi biologici, come gli esseri umani. I cervelli biologici presentano una notevole capacità di produrre esperienze e queste esperienze esistono soltanto quando vengono provate da agenti animali o umani. È possibile ridurre gli stati coscienti ai processi del cervello, perché tutti i nostri stati coscienti sono casualmente connessi con processi cerebrali, ma non è possibile eliminare la coscienza dimostrando che essa è solo un'illusione: la coscienza non è apparenza ma realtà. La coscienza e l'esperienza della coscienza sono la stessa cosa, quindi possiamo, ed anzi dobbiamo, garantire l'irriducibilità della coscienza senza tuttavia affermare che essa è un'entità metafisica, che non appartiene al mondo fisico ordinario. In breve è possibile accettare l'irriducibilità della coscienza senza accettare il dualismo (MC, pag. 178).
"Non sarebbe stato possibile esporre i miei punti di vista senza citare Cartesio, simbolo di una serie di idee sul corpo, sul cervello e sulla mente che in un modo o nell'altro continuano ad influenzare la scienza e la cultura occidentali. A me provocano disagio sia la concezione dualistica per la quale Cartesio scinde la mente dal cervello e dal corpo, sia le varianti moderne di essa: l'idea che mente e corpo siano sì in relazione, ma solo nel senso che la mente è il programma (il software) che gira in un pezzo di hardware di un calcolatore chiamato cervello; oppure che il cervello e il corpo siano sì in relazione, ma solo nel senso che il primo non può sopravvivere senza il supporto vitale del secondo. Eccolo, l'errore di Cartesio: ecco l'abissale separazione tra corpo e mente - tra la materia del corpo, dotata di dimensioni, mossa meccanicamente, infinitamente divisibile, da un lato, e la stoffa della mente, non misurabile, priva di dimensioni, non attivabile con un comando meccanico, non divisibile; ecco il suggerimento che il giudizio morale e il ragionamento e la sofferenza che viene dal dolore fisico o da turbamento emotivo possano esistere separati dal corpo. In particolare: la separazione delle più elaborate attività della mente dalla struttura e dal funzionamento di un organismo biologico. L'idea cartesiana di una mente scissa dal corpo può essere stata, attorno alla metà del ventesimo secolo, l'origine della metafora della mente come programma di software. Infatti, se la mente può essere separata dal corpo, forse si può tentare di comprenderla senza alcun ricorso alla neurobiologia, senza che occorra lasciarsi influenzare da conoscenze di neuroanatomia, di neurofisiologia, di neurochimica. Ed è interessante notare questo paradosso: molti scienziati cognitivisti, convinti di poter indagare la mente senza rifarsi alla neurobiologia, non si considererebbero dualisti. Può esservi qualche venatura cartesiana di separatezza dal corpo anche dietro il pensiero di quei neuroscienziati i quali sostengono che è possibile dare piena spiegazione della mente solo in termini di eventi cerebrali, lasciando ai margini il resto dell'organismo e l'ambiente fisico e sociale che lo circonda" (pag. 336-340). Con queste parole Damasio conclude la sua opera L'errore di Cartesio, i cui temi saranno poi ulteriormente sviluppati in Emozione e coscienza e nel recente Alla ricerca di Spinoza. Le caratteristiche della mente umana non comprendono soltanto abilità computazionali e calcoli logici, sono costituite anche da stati mentali, quali la coscienza, l'intenzionalità, la soggettività, le emozioni ed i sentimenti. Scrive ancora Damasio in Emozione e coscienza, sottolineando le buone ragioni di Searle, che superare il test di Turing non significa avere una mente. Gli stati interni ed esterni di un artefatto possono imitare le prestazioni della mente umana, ma la vera barriera che deve essere superata è l'esperienza soggettiva e il sentimento (pag. 377-8). Il problema dell'intenzionalità sembra, dunque, costituire uno dei maggiori ostacoli ad una soluzione di tipo funzionalistico, che ipotizzi una completa equivalenza della mente con i processi delle macchine, che adotti una logica binaria. Tale complessità della mente umana si traduce in una complessità dell'azione intenzionale, che può coinvolgere l'elaborazione di piani sofisticati, multipli e paralleli, e scelte tra alternative non sempre riconducibili ad un aut-aut. Stati cognitivi ed emotivi, desideri, piaceri, credenze, inevitabilmente influenzano l'orientamento delle scelte razionali. La realtà dell'essere umano, sia a livello di pensiero sia a livello d'azione, appare più sfumata e vaga di quanto possa apparire dall'utilizzazione della logica del sillogismo aristotelico, che è una forma di ragionamento valido, ma non può assorbire in sé tutto quanto è pensiero. Sulla stessa lunghezza d'onda si pone in Italia Paoli nel suo recente saggio Il fantasma nella macchina. "Per impostare il problema coscienza occorre riabilitare la posizione in prima persona, quella del soggetto, ridefinendola anche funzionalmente come luogo di fattori determinanti degli aspetti mentalistici e psicologici del comportamento, in passato riguardati con sospetto per il loro carattere non rigorosamente causale. Il valore positivo degli aspetti mentalistici e del cosiddetto senso comune dell'intelligenza umana è apparso chiaramente negli studi di intelligenza artificiale, allorquando si è trattato di affrontare problemi la cui soluzione richiedeva forme di intelligenza non rigide e meccaniche. Gli studi neuroscientifici hanno, invece, rilevato il ruolo decisivo svolto dalle emozioni e dai vissuti soggettivi nell'organizzazione della mente umana" (pag.21-22). Proprio su questa proposta di un modello di ragione che vada altre il modello classico, cioè quello di una ragione pura, indipendente dai desideri, solamente strumentale, disincarnata, la posizione di Damasio si salda a quella di Searle. Tale prospettiva è sullo sfondo in tutte le opere searleane e viene soprattutto tematizzata in La razionalità dell'azione. "La razionalità teoretica è più semplice di quella pratica; essa riguarda i problemi dell'evidenza e della verità, e questi possono essere risolti tramite strumenti di indagine scientifici e oggettivi, come la matematica e la logica. La razionalità pratica ha a che fare con l'azione, la libertà e il tempo, con la capacità di trovare soluzioni che mi permettono di orientarmi nel mondo e interagire con esso. E questo è completamente diverso, è una differenza cruciale. Se l'uomo avesse soltanto una razionalità teoretica molti problemi dell'intelligenza artificiale sarebbero già risolti; è proprio la razionalità pratica che rende complessa l'intelligenza umana, ponendola dinanzi al problema della scelta tra alternative diverse, infinite, del libero arbitrio e dei desideri conflittuali. Le difficoltà di tradurre in azione volontà e desideri contrastanti, che segnano costantemente il nostro agire pratico, hanno a che fare con la razionalità pratica. E la complessità che si manifesta nella razionalità pratica dell'uomo, impedisce qualsiasi ipotesi di riduzione dell'intelligenza umana a modelli computazionali e meccanici della mente e del cervello" (CCP, pag 192). Lo stesso interesse nei confronti della soggettività si trova anche in Sacks e in Solms che, ne Il cervello e il mondo interno, parte da riferimenti precisi sia a Damasio che a Searle, dal quale tuttavia si distacca per una sua più agnostica teorizzazione filosofica, che definisce monismo dal duplice aspetto percettivo. Anche Solms ritorna sul principio del primato del corpo, sulle componenti emotive dell'intelligenza, sull'insignificanza del test di Turing, sulla irriducibilità dell'esperienza soggettiva ai suoi correlati neurofisiologici: anzi proprio questo è il tema centrale della sua opera. Citando Searle scrive: "Come può il cervello permetterci di passare dall'elettrochimica alla sensazione? Tradizionalmente un interrogativo di questo tipo veniva considerato un problema squisitamente filosofico; ma da qualche tempo è stato possibile affrontarlo su basi scientifiche, rendendolo suscettibile di controllo sperimentale" (pag. 57). Ancora sostiene che è facile costruire un computer che esibisca un comportamento intelligente, e che superi il test di Turing, ma un comportamento intelligente non è una mente. "Il problema della mente non è un problema di intelligenza. Vari computer esibiscono un comportamento intelligente. Ma un computer dovrebbe essere in grado di generare gioie e dolori, ricordi e ambizioni, un senso di identità personale e di libero arbitrio, prima di riuscire a persuaderci che esso possieda veramente una sua mente" (pag. 80). Tale senso del sé, di identità personale, rispecchia il Sé corporeo di base. "La mente è intimamente connessa con il punto d'osservazione in prima persona. Questa è l'unica prospettiva che consente un'esperienza integrata di tutte le cose che osserviamo, radicandola nella sensazione di fondo che genera il Sé. Quest'ultimo, in ultima analisi, si fonda sulla nostra consapevolezza interiore di vivere in un corpo fisico a sé stante. Un computer potrebbe acquisire la proprietà della coscienza solo se fosse possibile implementare al suo interno questa capacità di autoconsapevolezza, che si radica in un corpo viscerale" (pag. 87). Solms si mostra tuttavia critico nei confronti di certi aspetti della posizione di Searle, a cui attribuisce solo un valore metaforico. "Molti psicologi cognitivi si identificano oggi con una corrente di pensiero secondo cui la mente sarebbe una proprietà emergente del cervello. In accordo con questa teoria, la mente ed il cervello sono entrambi del tutto reali: apparterrebbero, tuttavia, a domini del reale dotati di differenti livelli di complessità. Su queste basi, la mente viene considerata come l'espressione di un livello superiore di organizzazione dei neuroni, proprio come l'acqua è un livello più elevato di organizzazione dei suoi atomi costitutivi. Il problema di questa impostazione, apparentemente assai sofisticata, è che, in sostanza, essa non spiega affatto la relazione mente corpo, e non fa altro che mettere a confronto questa relazione con una di tutt'altro tipo, nella quale però non sussiste un problema analogo a quello in questione" (pag. 62). È, comunque, necessario ricordare che Searle non si pone il problema di spiegare il rapporto che sussiste tra cervello e coscienza: tale rapporto è un rapporto empirico, di fatto, e pertanto oggetto di analisi neuroscientifiche e non teoretiche. Se, dunque, da un lato Dennett scrive che "Searle non fa neppure parte del dibattito" (in MC, pag. 107), o che le sue argomentazioni sono convincenti solo per i non addetti ai lavori (pag. 94), d'altro lato Stich sostiene che "la teoria della mente di Searle è quanto di meglio è stato finora proposto, perché essa si fonda su una teoria causale del mentale, senza tuttavia ridurre la mente ad un meccanismo fisico totalmente determinato da leggi causali" (in CCP, 1997, pag. 210). In ogni caso è tra quelle poche che sembra salvare contemporaneamente sia un approccio psicologico che neurologico al soggetto, dal momento che considera come ontologicamente reali e rilevanti, seppur su piani diversi, sia la coscienza che il cervello. Bibliografia
|