Indice generale

PSICOANALISI NEOFREUDIANA

A cura dell' International Foundation Erich Fromm
Periodico quadrimestrale
anno XX numero 2 speciale
Registrato al Tribunale di Prato il 01/06/1988 al n. 133
Comitato Scientifico - Coordinatore: Irene Battaglini

Stampato in proprio - diffusione via Web
Direttore Responsabile: Ezio Benelli
Editing: Irene Battaglini
Polimnia - Musa della narrazione


ANATOMIA DELLA DISTRUTTIVITÀ UMANA

Atti del Convegno "Anatomia della distruttività umana – da Fromm all'11 settembre 2001"

Firenze, 7 Dicembre 2002 – Auditorium della Regione Toscana

A cura di Ezio Benelli

La manifestazione è stata realizzata con il contributo di:

FONDAZIONE MONTE DEI PASCHI DI SIENA

E con il patrocinio di

REGIONE TOSCANA

COMUNE DI FIRENZE

ORDINE DEGLI PSICOLOGI DELLA REGIONE TOSCANA

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Indice

Saro Brizzi
LE MATRICI DINAMICHE DEL PENSIERO DISTRUTTIVO

Vinicio Serino
AGGRESSIVITÀ E VALORI INIZIATICI

Alida Cresti
APOCALISSI DEL TERZO MILLENNIO: L'IMMAGINARIO DELLA PAURA E DELLA COLPA

Pierangelo Sardi
GUIDA AGGRESSIVA: CORAGGIO O PAURA

Giordano Biserni
LA STRADA: UN PALCOSCENICO PER MOLTI RUOLI, MA L'AGGRESSIVITÀ È SEMPRE PIÙ SULLA SCENA

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GUIDA AGGRESSIVA: CORAGGIO O PAURA?

Pierangelo Sardi
Presidente del Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi

Capita a tutti di incontrare sulla strada dei conducenti aggressivi, che cercano continuamente di sfidare gli altri. Queste persone mettono a repentaglio la vita altrui ed anche la propria, pur di dimostrare il proprio coraggio. È importante per tutti, ed anche per loro, che non vengano affatto considerati coraggiosi per questa loro tendenza.

Possiamo leggere nello Zibaldone di Giacomo Leopardi un suo elogio ammiratissimo della velocità, sia veduta che provata, particolarmente nelle corse dei cavalli; come sappiamo, quel grande Poeta non era affatto uno sportivo, anzi, era un sedentario, oberato da complessi di inferiorità fisica molto gravi e, purtroppo per lui, molto ben giustificati. L'attrazione profonda ed affascinata che quel timido Poeta confessa di provare per la velocità non dimostra affatto che egli fosse di carattere coraggioso: in sostanza, non seppe mai affrontare con decisione i rapporti sociali, né con le donne, né con gli uomini, né con la comunità di Recanati, né con i gruppi sociali di altre città. Come rivincita contro questa sua pavidità, Leopardi si slanciò nello "studio matto e disperatissimo", che gli diede la gloria letteraria; ma, come dimostrano quelle sue confessioni, avrebbe potuto e voluto cercare una analoga rivincita anche nella velocità, se avesse avuto modo di correre veloce: un'opportunità molto rara e difficile a quei tempi, ma facilissima ai giorni nostri, purtroppo.

Chi ha troppa paura, di troppe cose, per troppo tempo, trova un sollievo insperato nella velocità. Questo sollievo non è casuale: è sistematico, anche se ci viene da lontano, dalla nostra storia filogenetica. Per milioni di anni, noi siamo discesi solo da quei nostri progenitori che si salvarono dai pericoli perché, nel momento in cui erano assaliti, si ritrovavano già allenati a scappare veloci, avendo avuto quello stesso gusto istintivo della velocità che descrive Leopardi. La selezione naturale nella savana primordiale era basata soprattutto sulla capacità dei nostri progenitori di scappare velocemente dai predatori, per rifugiarsi rapidamente sugli alberi dove i grandi felini (leoni, tigri, ecc.) non riescono a salire. Una capacità che non si acquisisce su due piedi, si direbbe giustamente oggi, ma avendo il gusto e l'abitudine di toccare terra con un piede solo, cioè correndo, correndo, correndo sempre, anche senza motivo, per il piacere selvaggio di correre. Questo istinto primordiale non è diventato meno necessario alla sopravvivenza quando i nostri progenitori sono passati nella preistoria ed infine nella storia. Nella preistoria, nell'orda primitiva, il maschio dominante uccideva facilmente i maschi più giovani che insidiavano i suoi privilegi, e questi giovani potevano sopravvivere innanzitutto se amavano correre, anche qui per scappare. Ed anche nei successivi periodi storici i minori sono sempre stati facile e frequente oggetto di violenze, rapimenti, maltrattamenti ed abusi di vario genere, sino anche ad oggi, così che la natura non ha cessato di offrire a questa situazione di inferiorità minorile la migliore scappatoia nell'eterno gusto di correre velocemente.

Il gusto di correre era dunque perfettamente funzionale alla sopravvivenza, sin ché non è stato eccessivamente potenziato dalla motorizzazione del secolo scorso.

Il pericolo di scontrarsi con un ostacolo fisso era stato scongiurato nella filogenesi con una stupefacente capacità di evitare gli ostacoli: nulla è più rapido del chiudersi delle palpebre davanti ad un ostacolo che si avvicini all'occhio, ed anche rapidissimo è il guizzo con cui tutto il resto del corpo evita gli ostacoli nella corsa: noi restiamo ogni volta stupiti di come siamo stati abili nell'evitare quell'ostacolo, senza neppure essere stati coscienti della nostra decisione di scartarlo, guizzando.

Purtroppo la motorizzazione del secolo scorso, se da un lato ha assecondato ed esasperato il gusto di correre veloci, dall'altra parte non ha affatto adeguato all'aumentata velocità la capacità di evitare gli ostacoli. Questa grave lacuna peggiora in quanto, come di questa capacità evitatoria non eravamo coscienti, così neppure siamo coscienti della sua mancanza. Quindi rimane nel nostro patrimonio istintuale il piacere, anzi, il senso di sicurezza della velocità, anche mentre è diventata recentemente pericolosa, e rimane la fiducia che gli ostacoli saranno in qualche modo evitati, anche quando ormai non ne siamo più capaci. Sia il piacere ed il senso di sicurezza nella velocità, sia la fiducia di cavarsela davanti ad un ostacolo, sono massimi nei giovani, specialmente nei maschi: di qui le tragiche statistiche, che fanno dell'incidente stradale la prima causa di morte nei giovani.

Contrastare questo istinto di correre è un obiettivo molto difficile da raggiungere, ma è centrale per la psicologia del traffico e per gli altri interventi sulla sicurezza della circolazione.

Quanto detto sopra sull'istinto di correre va tenuto presente da chi, come le varie polizie stradali urbane ed extraurbane, ha il compito di reprimere quell'istinto: la repressione pura e semplice dell'istinto di correre non ha speranza di evitare ritorni ancora più disastrosi della licenza totale di correre a piacere. Il Legislatore ne è consapevole, ed infatti accompagna le varie disposizioni repressive con molti interventi informativi, esplicativi e formativi.

Quando questo contro-bilanciamento dell'istinto non accompagna la repressione dall'esterno, ma sta già al suo interno, abbiamo quella che gli psicoanalisti chiamano la sublimazione, cioè una formazione già intrinsecamente di compromesso fra l'istinto e le esigenze di compatibilità con la vita sociale attuale. Quasi tutti i giochi consistono in una gara a chi arriva primo ad una meta: più velocemente all'albero, si potrebbe dire retrospettivamente, e dato che l'albero oggi non rappresenta più la salvezza come nella nostra preistoria, ma rappresenta piuttosto la morte, come segnalano le escoriazioni prodotte dagli incidenti sugli alberi dei nostri viali, ecco che la velocità nel gioco si esplica in modo assolutamente non pericoloso, e solo moderatamente aggressivo verso il rivale.

Gli istinti sono più forti della nostra volontà cosciente, e quindi occorrerà dedicare una buona parte del tempo formativo all'insegnamento di una opportuna diffidenza verso queste buone intenzioni, ed all'apprendimento di abitudini che le rafforzino. La formazione alle abilità di guida non basta a risolvere questo problema, che è molto più grave dell'inesperienza.

Anche i Paesi più virtuosi, come ad esempio sono ritenuti giustamente quelli scandinavi, hanno dovuto amaramente disilludersi dopo aver maneggiato con troppa confidenza i primi corsi cosiddetti di guida sicura, e dopo aver constatato a suon di statistiche come lo spirito che avevano evocato da apprendisti stregoni, strofinando la lampada, non era affatto obbediente, e neppure rientrava facilmente nella prigione da cui i corsi lo avevano liberato. E le statistiche peggiori le registravano proprio i Paesi più diligenti, che somministravano i corsi più approfonditi per affrontare la "curva dell'alce", ed hanno dovuto constatare che gli incidenti di coloro che li avevano frequentati in modo profittevole diventavano più gravi. In Norvegia lo ha dimostrato inoppugnabilmente nel 1988 un'ampia ricerca, su 23.000 casi, seguita poi da moltissime conferme. Per questo ora la più recente rassegna europea di buone pratiche SUPREME (rinvenibile in traduzione italiana su www.sipsivi.org) non raccomanda più queste pratiche, anzi, ci mette in guardia contro il rischio da esse accresciuto.

La psicologia della sicurezza stradale fornisce molti strumenti pratici per limitare questo effetto che potremmo chiamare "del risveglio del genio da parte dell'apprendista stregone".

È indubbio che le tecniche insegnabili nelle autoscuole, ed anche nei corsi di cosiddetta guida sicura, migliorano la sicurezza oggettiva: le probabilità che si esca incolumi da una situazione pericolosa sono aumentate, non diminuite, per chi conoscerà queste tecniche. Purtroppo, la combinazione di questo aumento della sicurezza oggettiva con la spinta a sentirsi comunque più sicuri di quanto la velocità non consentirebbe, provocano naturalmente e spontaneamente un aumento della sicurezza soggettiva eccessivo, che induce ad assumere più frequentemente dei rischi che invece verrebbero evitati se la consapevolezza di non sapersi destreggiare nella stessa situazione pericolosa fosse rimasta intatta.

Questo concetto è stato formulato, ed in parte dimostrato, da Wilde come "tendenza all'omeostasi degli incidenti", e vale per tutti gli aumenti di sicurezza oggettiva, anche quelli meccanici, ambientali o infrastrutturali.

Tutte le ricerche dimostrano che soprattutto i giovani, nei primi tre o quattro anni di guida, sono soggetti al rischio massimo sulla strada.

Nella tabelle a doppia entrata che riportano lo scorrimento dell'età in orizzontale, ed in verticale la percentuale di incidenti, si nota un primo zig-zag, con una diminuzione del rischio dovuta all'aumento della sicurezza oggettiva, e poi una risalita verso il secondo o terzo anno di guida dovuta all'aumento eccessivo della sicurezza soggettiva.

Il formatore non deve limitarsi a contrastare soltanto questa risalita generale, che è il suo compito principale, ma deve anche cercare di individuare nel suo gruppo di formandi quei soggetti che hanno maggiore propensione al rischio stradale.

Il metodo scientificamente più idoneo è la somministrazione, da parte di uno psicologo del traffico, di un test che rilevi ed analizzi direttamente questa propensione.

Ma, anche quando questa somministrazione non è possibile, non è troppo difficile riuscirci, come vedremo subito.

Abbiamo già detto che varie ricerche psicologiche hanno dimostrato che i giovani più insicuri davanti alle sfide della vita cadono più facilmente nel trabocchetto, nell'inganno della velocità motorizzata. Quelli che hanno più paura dei loro genitori e dell'ambiente famigliare, dei loro insegnanti e della scuola, del proprio partner e della sessualità, dei possibili datori di lavoro ed in generale dell'inserimento sociale, proprio questi sono più affascinati dal motorino truccato, poi dalla moto e dalla macchina più veloce.

Purtroppo, la boccata di sicurezza che finalmente la velocità offre a questi infelici ragazzi non è sempre sufficiente a colmare la loro paura, ed allora ecco che l'alcool e la droga offrono altre boccate di analoga sicurezza, ovviamente ancora più illusoria ed ingannatrice di quella già insita nella velocità motorizzata.

L'alcool abbatte sempre direttamente tutte le capacità necessarie per evitare gli ostacoli; delle droghe, molte contribuiscono a questa riduzione di efficienza, anche gravemente; se alcune la riducono meno, tutte aumentano il senso illusorio di sicurezza, che è la maggiore causa dell'imprudenza e degli incidenti.

Purtroppo un terzo tipo di boccate di sicurezza viene dal consenso del proprio gruppo: ogni dubbio sul proprio fittizio coraggio sparisce se anche gli altri giudicano coraggioso chi corre veloce.

Tutti questi condizionamenti disastrosi vanno individuati e smontati.

Altrimenti, se questo contesto non viene individuato e scardinato, il formatore rischia di assecondare lo stereotipo, soprattutto se si presenta come immotivatamente prudente, o solo come un meticoloso ripetitore dei divieti. È dunque importante che egli riesca a smascherare attivamente questo stereotipo ed i condizionamenti che lo sostengono, per ripartire da zero nel ragionare sulla velocità. Liberamente, senza quei condizionamenti e quegli stereotipi.

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LA STRADA: UN PALCOSCENICO PER MOLTI RUOLI, MA L'AGGRESSIVITÀ È SEMPRE PIÙ SULLA SCENA

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